domenica 31 luglio 2011

Raid israeliano al Freedom Theatre di Jenin: Non lasciamoli soli




Lettera aperta dal gruppo che e' stato in Palestina con l' Associazione per la Pace dal 18 al 26 Luglio, in appoggio al Freedom Theatre.





Il 27 luglio, il giorno successivo al nostro rientro dal viaggio dell’Assopace guidato da Luisa Morgantini in Israele e nei Territori Occupati Palestinesi, abbiamo appreso con sgomento che all’alba di quello stesso giorno militari dell’esercito israeliano avevano fatto irruzione al Freedom Theatre che si trova nel campo profughi di Jenin.


L’ennesima violazione, da parte di Israele, della legalità internazionale, perché Jenin, in base agli accordi di Oslo, è classificata come “area A”, a completa sovranità (anche militare) palestinese, dove quindi l’esercito israeliano non ha diritto di accesso.
C’eravamo stati sabato 23 luglio al Freedom Theatre. Ad accoglierci non c’era purtroppo Juliano Mer-Khamis, l’attore, regista e attivista “al cento per cento israeliano e al cento per cento palestinese” – come lui stesso teneva a definirsi - il quale nel 2006 ridiede vita allo “Stone Theatre”, raso al suolo nel campo profughi di Jenin dagli israeliani nel 2002, durante la Seconda Intifada, ribattezzandolo col nome di “Freedom Teatre”

Lo Stone Theatre il (Teatro delle Pietre), era stato fondato dalla madre di Juliano, l’attivista ed educatrice israeliana Anna Mer, che aveva sposato il palestinese di fede cristiana Samil Khamis. Un progetto, quello del teatro, inteso come strumento di educazione alternativa per i bambini del campo profughi segnati dai traumi dell’occupazione israeliana, delle morti e della violenza durante l’intifada, e spesso carichi di rabbia e desiderio di vendetta. Juliano era diventato l’insegnante di quei ragazzi, dei quali filmerà il percorso nel documentario “Arna’s Children” (2003).
La vita di Juliano è stata stroncata nell’aprile scorso dal proiettile di un fanatico.Un omicidio solo apparentemente senza senso: il teatro che ha coinvolto i ragazzi di Jenin ha permesso loro, attraverso la creatività, di elaborare la disperazione e i lutti subiti, trasformando la sete di vendetta in desiderio di giustizia e di liberta’ da rivendicare attraverso la pratica della cultura e della nonviolenza.

La morte di Juliano non è stata però sufficiente a far serrare le porte del Freedom Theatre, perché la sua energia, i suoi ideali, i suoi sogni, erano condivisi dalle persone intorno a lui. Tra loro Zakariya Zubeidi, ora trentacinquenne, un combattente della Seconda Intifada, l’unico superstite del gruppo di ragazzi del Teastro di Arna. Zakariya che ha scelto di deporre il fucile e abbracciare la lotta pacifica. Che ha il viso segnato dai sei attentati subiti dalle unità speciali dell’esercito israeliano. Che dopo la morte di Juliano temeva di essere in pericolo anche lui insieme agli altri suoi compagni nel campo di Jenin, ma che ora ha un solo desiderio: non veder morire più nessuno di morte violenta.

E allora questi ragazzi non si sono dati per vinti: sono riusciti ad ottenere nel campo la protezione della polizia palestinese (che non li salva pero’ dall’intervento dei soldati israeliani) e con l’aiuto e la solidarietà degli internazionali stanno proseguendo il lavoro del teatro, i corsi di recitazione, l’allestimento degli spettacoli Gli studenti del primo anno sono appena tornati dall’aver portato l’ultimo spettacolo in Francia.
Li abbiamo incontrati e ascoltati nella sala del teatro, sui loro volti la luce di chi ritrova il coraggio di non abbandonare i propri sogni, la gioia che nasce dalla forza di vincere la disperazione per raccogliere l’eredità di chi non c’è più. Per non farlo morire ancora una volta, per farlo continuare a vivere. Parlando con noi hanno ribadito il loro messaggio a chi ha assassinato Juliano: “Avete ucciso lui, ma non potete uccidere le sue idee e il bisogno di liberta’”. Era palpabile la loro potenza, l’energia prorompente di chi ha scelto di combattere nutrendo l’umanità, di non uccidenderla anche dentro di sé.

Tutti noi – con un groppo in gola – abbiamo sentito che quei ragazzi possono farcela. E il raid israeliano dimostra quanto la loro determinazione e il loro lavoro culturale facciano paura – più delle armi - ad Israele.

Ma non dobbiamo lasciarli soli! Il Freedom Theatre è un patrimonio che appartiene non solamente a chi combatte per la libertà della Palestina, ma anche a tutti coloro che si battono per la giustizia attraverso azioni non violente. È un piccolo prezioso tempio di pace e di speranza in un mondo più giusto e umano, e tutta la società civile dovrebbe farsi carico della sua difesa e della libertà delle persone che gli danno vita.

NON LASCIAMOLI SOLI !

  • Facciamo circolare, inviamo messaggi di solidarietà al sito www.thefreedomtheatre.org
  • Raccogliamo i fondi per l`affitto di un anno della nuova sala per la scuola del teatro.
    Occorrono 8.000 euro (ottomila). Potete versare sul conto intestato: Associazione per la Pace su Banca Popolare Etica
    IBAN: IT 27 F 05018 03200 000000504090
    Causale: Teatro della Liberta’ – Jenin


Per info: lmorgantiniassopace@gmail.com

martedì 26 luglio 2011

XV Incontro Internazionale delle Donne in Nero


Quest’anno dal 15 al 20 di agosto 15 donne in nero della rete italiana, da Napoli, Bologna, Padova, Torino, Verona si recheranno a Bogotà, Colombia per partecipare al XV Incontro Internazionale delle Donne in Nero mentre da altri paesi europei e da tutti gli altri continenti partiranno altre delegazioni.

E’ la prima volta che realizziamo questo incontro in America Latina, dove donne da tutto il mondo si riuniranno per affermare tutte insieme “Un No Rotundo a La Guerra” come dicono le colombiane.




Tante ragioni per fare della Colombia lo scenario del XV Incontro internazionale delle Donne in Nero, ma soprattutto un conflitto armato vecchio di più di 40 anni nato dalla radicalizzazione delle lotte sociali degli anni ’70 in lotta armata contro l’ingiustizia sociale e la repressione, la formazione di violenti gruppi paramilitari e il confronto feroce con l’esercito per il potere, continua a insanguinare il paese e si interseca volta a volta con gli interessi della droga ( la Colombia è uno dei maggiori produttori di coca) con quelli delle multinazionali che aiutati da esercito e paramilitari, espropriano i terreni per impiantare le loro aziende, nel paese delle biodiversità, dei fiori, della frutta, dei colori,con una ricchezza infinita di acqua che fa gola a molti.

Ma soprattutto la presenza di un movimento di donne molto vasto, organizzato e deciso a lottare per porre fine al conflitto armato, con cui intratteniamo relazioni da molti anni e che hanno aderito alla rete internazionale delle Donne in Nero. Loro hanno bisogno anche di noi, della nostra presenza internazionale, per non essere sole di fronte ad attori armati potenti e spietati, il nostro sostegno e l’avallo alle loro pratiche e contenuti da parte di una vasta rete di donne, testimoni internazionali di ciò che accade in quel paese dietro l’apparenza di una democrazia, costituisce un forte spinta ad andare avanti superando la paura e la difficoltà ad affermare la possibilità di una lotta non violenta efficace sia contro il conflitto armato che per la giustizia sociale.

L’incontro è organizzato dal movimento femminista e pacifista della Ruta Pacifica de las Mujeres che è formato da più di 300 gruppi e organizzazioni di donne appartenenti a 9 regioni della Colombia. A turno nel paese manifestano in silenzio e in nero, ogni ultimo martedì del mese con performance simboliche contro la guerra e le conseguenze nefaste sulla vita e sui corpi delle donne.

La Ruta Pacifica de las Mujeres è nata nel 1996, le donne che hanno aderito hanno deciso di rompere il silenzio e il ciclo della paura che caratterizza la guerra, assumendo ognuna la responsabilità delle proprie scelte.

Le donne colombiane sanno usare molto bene il simbolico nelle performance che accompagnano le manifestazioni, esprimendo con creatività i loro obiettivi; nelle cerimonie/rituali che affondano le loro radici nell’antico culto delle divinità femminili e nella madre terra/Pachamama, in qualche modo confondendole e che servono per dare un senso più profondo alla sorellanza fra donne e alla responsabilità che ognuna porta anche per l’altra;nei tribunali delle donne per verità, giustizia.

Spesso le loro espressioni sintetiche e talvolta poetiche per esprimere i contenuti di lotta sono di esempio per la loro efficacia, contro la guerra “no parimos hijas y hijos para la guerra” “ni las niñas, ni los niños para el machismo,la violencia y la guerra” “ni guerra que nos mate, ni paz que nos oprima”, “las mujeres paz haremos” contro i fondamentalismi “Tu boca es fundamental contra los fundamentalismos”, per la depenalizzazione dell’aborto per cui le donne sono ancora criminalizzate “La mujer decide, la sociedad respeta, el estado garantiza”, nelle manifestazioni contro la violenza domestica e nella coppia “el maltrato no es amor”, “si te maltrata no te ama”.

Le abbiamo usate anche noi traducendole, nelle manifestazioni di questi ultimi anni contro la violenza maschile sulle donne e contro la guerra e con successo, le scritte in rosa sulle manine nere sono andate su tanti giornali e sul web. Anche i colori ispirano simbolicamente le manifestazioni della Ruta:
giallo:verità
verde:speranza
bianco: giustizia
azzurro: riparazione del danno
nero: resistenza
rosso:la vita.

Ho partecipato a un loro incontro internazionale nel 2004 e nelle pratiche di svolgimento dell’incontro sono stati presenti momenti musicali con strumenti tradizionali piegati a stili e contenuti confacenti all’incontro, danze collettive, cerimonie di presa in carico reciproca da parte delle donne, arti visive e molto altro, non sono intervalli fra un taller e una plenaria ma parte integrante dell’incontro. E’ stata una esperienza molto interessante che ha lasciato una forte impronta e mi ha anche permesso di creare relazioni mai interrotte con queste donne. Tornare è veramente fantastico.

L’impronta della Ruta è la capacità di coniugare sempre la lotta contro la guerra e i diritti delle donne, tra questi c’è il diritto a “verità, giustizia e riparazione” per tutti i lutti e il dolore causati dalla guerra, motivo conduttore di tutti i movimenti delle donne in America Latina e non solo; la memoria è custodita e usata sempre nelle manifestazioni in cui come in un rosario si gridano uno per uno i nomi delle donne che sono state uccise in quel luogo seguiti dalla parola “presente!” . C’è la lotta contro la violenza sulle donne, violentate da tutti gli attori armati come campo di battaglia e di risposta e offesa al nemico; il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è una data fondamentale per la RUTA che si è costituita proprio attorno a quella data quando tante donne dal paese hanno deciso di recarsi in Urabà in sorellanza con le donne di quel luogo che al 95% erano state violentate.

E i viaggi sono proseguiti con centinaia e centinaia di donne che su autobus si sottopongono a viaggi terribili sulle strade spesso sterrate delle regioni più dimenticate dai governi colombiani in solidarietà e sorellanza con le donne del posto, come il Putumayo dove la popolazione subisce le conseguenze fisiche ed economiche della pratica delle fumigazioni che dovrebbero far sparire le piantagioni di coca ma che nei fatti avvelenano la terra e l’acqua distruggendo ogni possibilità di presente e futuro, incoraggiando le dislocazioni talvolta forzate delle popolazioni che vengono così espropriate di tutto, oppure il Chocò spazzato dal conflitto armato e dalla paura e, per affermare la loro decisione di non volersi far piegare dalla paura le donne della Ruta gridano nelle manifestazioni “Es mejor ser con miedo que dejar de ser por miedo” .

La Ruta Pacífica de las Mujeres attua mobilitazioni simboliche, sociali e politiche contro la guerra, con cui esige che gli attori armati partecipino ad un dialogo e alla negoziazione politica per la soluzione del conflitto e per il rispetto delle norme del Diritto Internazionale Umanitario.



La Rete delle Donne in Nero realizza ogni due anni un incontro internazionale con lo scopo di analizzare gli effetti sulle donne e sulla popolazione civile della guerra, dei militarismi e della corsa agli armamenti, ed anche per rendere visibili e organizzare azioni di resistenza delle donne contro la guerra e per il loro diritto a vivere in pace e senza violenza e con la libertà di scegliere sul proprio corpo e sulla propria vita.

Patricia Tough, Donna in Nero, Bologna

lunedì 25 luglio 2011

Lavori in Corsa: Presentato a New York il rapporto ombra sulla attuazione della CEDAW in Italia


CEDAW è la convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women). E’ un accordo internazionale, onnicomprensivo e legalmente vincolante sui diritti delle donne ed è stata prodotto dalle Nazioni Unite nel 1979. Comprende tutte le forme di discriminazione e promuove misure speciali per realizzare una società non discriminante.

La convenzione pone l’ineguaglianza e la discriminazione contro le donne all’interno del contesto relativo alla povertà, alla razza, alla salute e alla rappresentazione politica, comprende inoltre la discriminazione che avviene all’interno delle mura domestiche. La convenzione Cedaw afferma nel preambolo che: “…è necessario un cambiamento nei ruoli tradizionali sia degli uomini sia delle donne, nella società e nella famiglia, per ottenere una perfetta uguaglianza fra uomini e donne.”


Punti principali della convenzione CEDAW


Articolo 1. Definisce la discriminazione contro le donne
Articolo 2. Gli stati devono condannare e proteggere legalmente rispetto alla discriminazione.
Articolo 3. Gli stati devono prendere provvedimenti provvisori per accellerare i processi di riequilibrio di uguaglianza,
Articolo 4. Gli stati devono mettere in atto politiche per garantire i diritti delle donne
Articolo 5. Riguarda aspetti di pratiche culturali e responsabilità nell’allevamento dei figli.
Articolo 6. Proibisce la tratta delle donne
Articolo 7. Gli stati devono eliminare la discriminazione nel campo della vita politica
Articolo 8. Uguali diritti delle donne per rappresentare i governi
Articolo 9. Uguaglianza relativamente alla nazionalità nel matrimonio e nella cittadinanza dei figli.
Articolo 10. Uguaglianza nell’educazione
Articolo 11. Uguaglianza nell’occupazione
Articolo 12. Uguaglianza nella salute
Articolo 13. Uguaglianza relativamente ai benefici familiari e ai prestiti bancari
Articolo 14. Diritti delle donne rurali
Articolo 15. Uguaglianza davanti alla legge
Articolo 16. Uguaglianza nei diritti rispetto al matrimonio
http://www1.umn.edu/humanrts/iwraw/cedaw.html

La convenzione è stata ratificata dall'Italia nel 1985


Il 14 luglio il Comitato CEDAW delle Nazioni Unite, composto da 23 membri provenienti da tutto il mondo, ha valutato la relazione periodica presentata dal Governo italiano sulle misure adottate negli ultimi 4 anni per garantire i diritti delle donne. La società civile era presente alla discussione. Per la Piattaforma “Lavori in corsa – 30 anni di CEDAW” erano presenti Barbara Spinelli (Giuristi Democratici) e Claudia Signoretti e Simona Lanzoni (Fondazione Pangea).

Il Governo ha presentato le politiche portate avanti in questi quattro anni. Era presente una delegazione in sala e una in videoconferenza: circa quaranta persone in totale rispetto alle due persone del 2005, quando non fu presentato nessun rapporto ombra e la società civile non era presente al dialogo costruttivo tra Comitato CEDAW e Governo.

È la prima volta infatti che la società civile italiana presenta un rapporto ombra e partecipa alla sessione di valutazione del Comitato CEDAW. Il rapporto ha raccolto l’adesione di oltre 120 organizzazioni della società civile.

I membri del Comitato CEDAW oggi hanno posto numerosissime domande, che rispecchiavano la maggior parte dei temi critici sollevati dalla Piattaforma nel Rapporto Ombra.

Le domande hanno toccato tutti i diritti riconosciuti dalla Convenzione.

Il primo gruppo di domande riguardava il quadro legislativo italiano e i meccanismi istituzionali che dovrebbero l’attuazione dei principi della CEDAW e migliorare le condizioni di tutte e tutti. Il Comitato CEDAW ha sottolineato che alla luce della grave persistenza degli stereotipi che riguardano il ruolo della donna in Italia è indispensabile che il Governo garantisca la conoscenza della Convenzione, traducendola e diffondendola.

Numerosissime e interessate le domande sulle strategie che il Governo vorrà adottare in materia di eliminazione degli stereotipi, di partecipazione di tutte le donne, italiane, migranti, di seconda generazione, disabili, rom, alla vita pubblica, sociale, politica, economica e culturale.

“In politica si trasmettono stereotipi sul ruolo della donna come oggetto sessuale: cosa farà il Governo per sradicare questi stereotipi?”.

E ancora molte le domande su salute, tratta, prostituzione, su come è stata affrontata la crisi, sulle molestie sessuali sul luogo di lavoro, sulla violenza domestica.

Durante la sessione il Comitato CEDAW ha più volte espresso la sua preoccupazione per il fatto che dal 2005 ad oggi non si sono registrati sostanziali miglioramenti per le donne in Italia.

Il Comitato CEDAW, sulla base del dialogo avuto il 13 luglio con le rappresentanti della Piattaforma “Lavori in corsa - 30 anni CEDAW” e sulla base del dialogo avuto oggi con il Governo, lavorerà per formulare entro la fine del mese le Raccomandazioni conclusive, che il Governo italiano è tenuto ad attuare per rispettare l’impegno internazionale assunto con la ratifica della Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne.

Rapporto Ombra CEDAW 2011_ITA (2)[1]