giovedì 20 dicembre 2012

Vicenza Città Occupata

Dai colli alle Alpi. Tra i boschi e lungo i fiumi. Nelle grotte e tra le case. Vicenza è una grande zona militare.

Un reticolo di basi, installazioni segrete, depositi sotterranei al servizio della 173^ brigata aerotrasportata statunitense, recentemente trasformata in combat team e divenuta il “pugno di ferro” del braccio armato nordamericano.

Centri di addestramento e di comando dove vengono dirette le operazioni di Africom, la nuova struttura voluta dal Pentagono per controllare l’Africa ricca di risorse indispensabili e il Medioriente sempre più instabile.

Laddove trovi un cartello giallo con disegnato un soldato che imbraccia il fucile, sai che non potrai entrare. Gli occhi del visitatore, così curiosi di ammirare la bella Vicenza patrimonio Unesco, non potranno spingersi oltre le recinzioni e il filo spinato.
 
Top secret.
Segreto militare.

  • A Camp Ederle potrete trovare maxischermi per la guida delle truppe in battaglia, centri di comando e spazi di addestramento e, con un pò di fortuna, un generale pieno di stellette pronto a decantarvi le virtù dei combattenti a stelle e strisce.
  • Dal Molin: Grandi palazzi dormitorio in stile palladiano, autofficine per mezzi pesanti, depositi e parcheggi: un grande piano di urbanizzazione militarizzata laddove, fino al 2008, c’era un grande prato verde.
  • Sito Pluto: Mine nucleari! I bunker multilivello e le gallerie sotto i colli berici - e nel cuore di un’area protetta - sono i luoghi nei quali, gli statunitensi, hanno stoccato queste micidiali armi tattiche. A
  • Torri di Quartesolo di armi e munizioni ce ne sono per tutti i gusti!
  • Fontega: Vecchie e arrugginite munizioni - secondo i militari statunitensi - custodite in un incantevole sito circondato da reti e fili spinati.
  • Villaggio della Pace: Serene e spensierate famiglie dei soldati statunitensi all’interno di un complesso “palladiano” composto di mura di recinzione e sistemi di videosorveglianza ad altissima tecnologia.

domenica 2 dicembre 2012

Chi Controlla L'Oppressore? L'Esperienza di Machsom Watch

 
Nella parola ‘indignazione’ è contenuto il termine ‘dignità’: è per rispetto e amore verso me stessa che devo denunciare le ingiustizie.
 
Daniela Yoel

La Settimana scorsa, si è tenuto l'incontro alla casa Internazionale delle donne, a Roma, con Daniela Yoel, israeliana, ebrea ortodossa ed attiva nel Machsom Watch.

Machsom Watch, che fa parte della rete Coalition of Women for peace, è nato nel gennaio del 2001 in risposta alla violenza della seconda Intifada e da allora conduce osservazioni giornaliere di posti di blocco dell’esercito israeliano (in ebraico machsom) nei Territori palestinesi occupati.

Daniela ci ricorda che anche nei periodi di tregua, quando non ci sono operazioni militari o resistenza armata, l'occupazione continua - crudele, ingiusta, disumana, e omnipresente nelle vite quotidiane dei Palestinesi.

Qui di seguito il resoconto del suo intervento nel report scritto da Cecilia Dalla Negra per Osservatorio Iraq.

In una fredda mattina di febbraio di 11 anni fa cinque donne si avvicinano al check point 300, tra Betlemme e Gerusalemme. Non sanno bene cosa fare: ci sono i soldati con gli M-16, i palestinesi in fila, fa freddo. Si fermano, indecise su come comportarsi, ma sicure che sia necessario agire. Quando il soldato chiede loro cosa sono venute a fare laggiù, la più intraprendente si guarda intorno: verso la colonia di Har Homa il sole splende. “Beh, siamo venute a goderci questa bella giornata."

Così Yehudit Keshet racconta l’inizio – “magari non esplosivo” – del lungo percorso di Machsom Watch, l’organizzazione femminile israeliana che da anni presidia i check point (in lingua ebraica machsom) per denunciare le violenze e gli abusi contro i cittadini palestinesi nei Territori Occupati.

Se c’è un oppresso c’è anche un oppressore. Quello che troppo spesso manca è qualcuno che si incarichi di monitorare l’oppressione. Quelle cinque “pioniere” diventano in breve cinquecento: è il 2001, è in corso la Seconda Intifada. Un periodo terribile, che vede il moltiplicarsi continuo di check point e posti di blocco israeliani. “

C’è un’occupazione là fuori: è feroce e immorale: dobbiamo stare dalla parte di chi la oppone, senza esclusione di colpi”,

sostiene quel gruppo di donne, che sceglie di non ammettere uomini “perché non sono capaci di mantenere il controllo davanti ai militari”. Sono loro a commettere abusi e violazioni contro una popolazione civile cui è negata la libertà.

Le donne diMachsom Watch sono realiste: capiscono di non poter vincere contro la forza del governo e le armi dell’esercito: ma possono almeno testimoniare quelle violazioni, fungere da deterrente verso i soldati, essere l’occhio attento che guarda, registra, denuncia. La spilla con l’occhio aperto che portano addosso diventerà conosciuta: loro, in breve, una fastidiosa spina nel fianco dei militari.
 
I loro report, aggiornati quotidianamente, vengono inviati a stampa e governo nel tentativo di rendere evidente un fatto: nessuno, in futuro, potrà dire “io non sapevo”.

È anche la convinzione di Daniela Yoel, una delle ‘nonne’ di Machsom Watch, ospite insieme a Luisa Morgantini, ex vice presidente del Parlamento Europeo, di un incontro organizzato da Associazione per la Pace alla Casa Internazionale delle Donne di Roma.

Daniela ogni mattina da 11 anni si sveglia, prende il caffè e va a presidiare un check point: proprio perché
“in Israele la gente ogni mattina si sveglia, prende il caffè e non vuole saperne niente di quello che succede al di là del muro”.

Ebrea ortodossa osservante, Daniela appartiene alla prima generazione nata in terra di Palestina da genitori immigrati:

“Israele per me e quelli della mia generazione ha un significato enorme. Perché forse come ebrea non mi sentirò a mio agio da nessuna parte; ma come israeliana ho una patria, e la patria è quella di cui ci si può anche vergognare”.

  È una concezione particolare la sua, religiosa praticante in un contesto di attivismo per i diritti umani come quello di Machsom Watch, per la maggior parte laico e femminista.

“Come religiosa mangio kosher: per spiegare la schizofrenia nella quale vivo racconto sempre che non posso parlare con quelli con cui posso mangiare, e non posso mangiare con quelli con cui posso parlare”.

Perché la verità è che
“Israele è un paese di destra, e le persone che mi circondano non vogliono sapere quello che il governo fa in loro nome”.

  Non è così per lei, che 11 anni fa ha scelto di dedicare il tempo che la pensione da studiosa le concedeva per presidiare i posti di blocco che l’esercito del suo paese impone e controlla.

“Un giorno di molti anni fa venni a sapere che una donna palestinese, incinta di due maschi, era stata bloccata a un check point mentre cercava di raggiungere l’ospedale. Fermata dai soldati, fu costretta a partorire in strada, per terra. Entrambi i suoi bambini morirono, e le fu concesso di passare solo quando fu evidente che anche lei stava per morire”.

Una storia di ordinaria amministrazione nei Territori, di disumana quotidianità. Che la colpisce, perché

“in quello stesso periodo anche mia nuora era incinta di due maschi. Che sono nati normalmente in un ospedale, e che oggi sono i miei nipoti. Da quel momento non ho potuto fare a meno di pensare a quale enorme differenza ci fosse tra queste due esperienze; a che tipo di trauma quella donna palestinese ha dovuto affrontare e al fatto che se fossi stata presente, forse i soldati l’avrebbero lasciata passare”.

Perché in una mente educata “all’odio, alla violenza e al machismo”, come quella dei militari, e in un paese “in cui il simbolo della società è l’erezione nazionale”, vale più un concittadino israeliano che ti osserva di centinaia di palestinesi “a cui viene rubata una cosa molto più preziosa di qualsiasi bene materiale: il tempo. Qualcosa che una volta portata via non può più essere restituita”. Il tempo negato di uno spostamento, all’apparenza banale, da casa al posto di lavoro.

“Non si capisce per quale ragione i palestinesi debbano avere speciali permessi anche solo per andare a dormire”.

Daniela Yoel, come tanti altri attivisti israeliani per i diritti umani, è considerata dai suoi compatrioti una self-hating jew, una di quegli ebrei che devono necessariamente odiare loro stessi per poter criticare il proprio stato. Un’accusa che respinge:

“E’ vero il contrario. Nella parola ‘indignazione’ è contenuto il termine ‘dignità’: è per rispetto e amore verso me stessa che devo denunciare le ingiustizie. È scritto persino nel Talmud. E se chi ci governa in questo modo sostiene di essere ebreo, allora io non sono ebrea. Stare in disparte non è possibile, se testimoni dolore è tuo dovere cercare di alleviarlo”.

È una lettura mossa dal profondo attaccamento a valori religiosi quella di Yoel. Lei, che nel suo paese è minoranza di una minoranza, ben consapevole della sproporzione di forze in campo.

“Non posso vincere contro il governo e l’esercito, ma posso portare il mio corpo e miei occhi laddove ci sono violazioni. Non si combatte una battaglia solo per vincerla, ma anche perché la causa è giusta”.

Quello palestinese è un territorio barbaramente depredato, lo dimostra anche il filmato che mostra a una platea attenta, quasi tutta al femminile. È stato girato dalle donne di Machsom Watch nei pressi della colonia di Efrat, tra Betlemme e Gerusalemme. Sul sottofondo musicale di una preghiera cabalistica si muovono le ruspe israeliane che distruggono una vallata e i suoi albicocchi, proprietà di contadini palestinesi. Al loro posto verranno costruite le fognature a cielo aperto necessarie alla colonia.

“La preghiera chiede a Dio che il grido degli ebrei sia ascoltato. Adesso la situazione è un po’ cambiata”, commenta. “Gli architetti del male sono pochissimi, ma hanno bisogno di gente che non vuole sapere. Accadde così anche al mio popolo: noi non possiamo permetterci di dire ‘io non sapevo’, come fecero altri con 6 milioni di ebrei”.

  E se un paradosso crudele mostra un popolo a lungo senza radici sradicare quelle altrui, distruggendo alberi, terra e storia, diventa importante agire per fermare la violenza.

“Chi sarebbe disposto a lasciar andare la sua preda se non c’è nessuno che lo costringa a farlo? Quello che chiedo è che ognuno faccia pressione sui propri governi. Non solo per i palestinesi, ma per salvare Israele da se stesso”.

Una battaglia impari, che va comunque combattuta secondo le donne di Machsom Watch. Ecco perché alla domanda “voi cosa fate” hanno una sola risposta da dare: “Tutto quello che possiamo”.

sabato 24 novembre 2012

Se Questi Sono Gli Uomini

I femminicidi sono delitti annunciati, esecuzioni pubbliche, non sono delitti passionali né raptus. Perchè gli uomini uccidono le donne che non si sottomettono e perchè è così difficile in Italia oggi prendere atto di questa realtà?

Il 25 novembre, giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e ancora una volta dobbiamo denunciare la violenza di genere: quella politica ed economica, legata ai conflitti armati, alle guerre del capitalismo globale; quella domestica, esercitata nell’ambito delle relazioni familiari e affettive, che in tutti i paesi è la prima causa di morte per le donne.

Nel 2012, in Italia, la violenza maschile sulle donne ha provocato più di un centinaio di vittime. E’ dunque ancora radicata, nel nostro paese, una mentalità patriarcale che autorizza gli uomini ad usare la forza per uccidere, le parole per ferire, la sessualità per offendere.
 
 


Dentro la crisi economica che estende la povertà e la precarietà sociale, le politiche di taglio della spesa pubblica e del welfare hanno tolto risorse alle case rifugio per le donne maltrattate, ai centri antiviolenza, che si sono trovati nell’impossibilità di garantire, nei diversi territori, il mantenimento di un servizio importante che stavano svolgendo.


Ma il contrasto alla violenza sulle donne non può essere demandato ai soli servizi sociali. Il problema non è quello di fornire tutele a un genere femminile pensato come debole. Va indagato invece l’universo maschile, generatore di tanta ferocia.

Sono uomini quelli che stuprano, picchiano, umiliano, uccidono. Non solo nella sessualità, ma anche nel rapporto di coppia, nel corteggiamento, nella gestione delle separazioni la violenza emerge quando la donna non corrisponde più, in forma complementare e speculare, al desiderio maschile inteso come unico motore della relazione.

In questo scenario, ad essere assente è la parola pubblica degli uomini. Il loro silenzio è tombale. Viene rotto solo da alcuni gruppi minoritari di maschi che in Italia hanno iniziato a sviluppare una riflessione sulla propria sessualità, sulla mascolinità e sugli stereotipi che l’accompagnano, sui rapporti con l’altro sesso.

Per tutti questi motivi, le Donne in Nero ritengono che la data del 25 novembre debba trovare una collocazione significativa nel calendario politico del nostro paese e sollecitare un confronto culturale ancora purtroppo mancante.


Plaudiamo all'annuncio delle Farc di cessate il fuoco

Bogotá, 19 novembre 2012. Noi Mujeres de la Ruta Pacífica plaudiamo all'annuncio delle FARC di cessate il fuoco, che comincerà da domani e si prolungherà fino all 20 gennaio 2013.

Siamo convinte che è una decisione giusta per avanzare nel cammino della pace, della riconciliazione, e che contribuisce a evitare più vittime nella popolazione civile, la più colpita dal conflitto armato.

Ancora una volta la Ruta Pacífica de las Mujeres ribadisce il suo impegno per la pace, il disarmo delle parole, convoca e esige dagli attori del tavolo di negoziazione che non si alzino, finché non abbiano firmato l'impegno a por fine al conflitto armato.

Oggi, i negoziatori iniziano le discussioni sui 5 punti dell'agenda: politica di sviluppo agrario integrale, partecipazione alla politica, 
soluzione al problema delle droghe illecite, il trattamento delle vittime e la fine del conflitto; noi Mujeres de la Ruta Pacifica ci dichiariamo attrici e osservatrici in questo negoziato e perciò esortiamo a prendere in considerazione le iniziative proposte dalle donne e dalla società civile.



Che vergogna la guerra
Tutti e tutte al tavolo dei negoziati
¡Negociación política ya!
 
 
 

lunedì 19 novembre 2012

A Gaza si muore

I morti non sono solo numeri, erano madri, padri, figlie, figli, nonne, nonni... e avevano nomi che ricordiamo qui
 
Ahmad Al-Ja’bary, 52 anni
Mohammed Al-hams, 28 anni
Rinan Arafat, 7 anni
Omar Al-Mashharawi, 11 mesi
Essam Abu-Alma’za, 20 anni
Mohammed Al-qaseer, 20 anni.
Heba Al-Mashharawi, 19 anni, incinta di 6 mesi
Mahmoud Abu Sawawin, 65 anni
Habis Hassan Mismih, 29 anni
Wael Haidar Al-Ghalban, 31 anni
Hehsam Mohammed Al-Ghalban, 31 anni
Rani Hammad, 29 anni
Khaled Abi Nasser, 27 anni
Marwan Abu Al-Qumsan, 52 anni
Walid Al-Abalda, 2 anni
Hanin Tafesh, 10 mesi
Oday Jammal Nasser, 16 anni
Fares Al-Basyouni, 11 anni
Mohammed Sa’d Allah, 4 anni
Ayman Abu Warda, 22 anni
Tahrir Suliman, 20 anni
Ismael Qandil, 24 anni
Younis Kamal Tafesh, 55 anni
Mohammed Talal Suliman, 28 anni
Amjad Mohammed Abu-Jalal, 32 anni
Ziyad Farhan Abu-Jalal, 23 anni
Ayman Mohammed Abu Jalal, 44 anni
Hassan Salem Al-Heemla’, 27 anni
Khaled Khalil Al-Shaer, 24 anni
Ayman Rafeeq sleem, 26 anni
Ahmad Abu Musamih, 32 anni
Osama Abdejjawad
Ashraf Darwish
Ali Al-Mana’ma
Mukhlis Edwan
Mohammed Al-Loulhy, 24 anni
Ahmad Al-Atrush
Abderrahman Al-Masri
Awad Al-Nahhal
Ali Hassan Iseed, 25 anni
Mohammed Sabry Al’weedat, 25 anni
Osama Yousif Al-Qadi, 26 anni
Ahmad Ben Saeed, 42 anni
Hani Bre’m, 31 anni
Samaher Qdeih, 28 anni
Tamer Al-Hamry, 26 anni
Gumana Salamah Abu Sufyan, 1 anno
Tamer Salamah Abu Sufyan, 3 anni
Muhamed Abu Nuqira
Eyad Abu Khusa, 18 mesi
Tasneem Zuheir Al-Nahhal, 13 anni
Ahmad Essam Al-Nahhal, 25 anni
Nawal Abdelaal, 52 anni
Mohammed Jamal Al-Dalou (il padre)
Ranin Mohammed Jamal Al-Dalou, 5 anni
Jamal Mohammed Jamal Al-Dalou, 7 anni
Yousef Mohammed Jamal Al-Dalou, 10 anni
Ibrahim Mohammed Jamal Al-Dalou, 1 anno
Jamal Al-Dalou,(il nonno).
Sulafa Al Dalou, 46 anni
Samah Al-Dalou, 25 anni
Tahani Al-Dalou, 50 anni
Ameina Matar Al-Mzanner, 83 anni
Abdallah Mohammed Al-Mzanner, 23 anni
Suheil Hamada
Mo’men Hamada
Atiyya Mubarak.
Hussam Abu Shaweish,
Samy Al-Ghfeir, 22 anni
Mohammed Bakr Al-Of, 24 anni
Ahmad Abu Amra
Nabil Ahmad Abu Amra
Hussein Jalal Nasser, 8 anni
Jalal Nasser
Sabha Al-Hashash, 60 anni
Saif Al-Deen Sadeq
Ahmad Hussein Al-Agha.
Emad Abu Hamda, 30 anni
Mohammed Jindiyya,
Mohammed Iyad Abu Zour, 4 anni
Nisma Abu Zour, 19 anni
Sahar Abu Zour
Ahed Al-Qattaty, 38 anni
Al-Abd Mohammed Al-Attar
Rama Al-Shandi, 1 anno
Ibrahim Suleiman al-Astal, 46 anni
Omar Mahmoud Mohammed al-Astal, 14 anni
Abdullah Harb Abu Khater 21 anni
Mahmoud Saeed Abu Khater, 34 anni
Rashid ‘Alyan Abu ‘Amra, 45 anni
Amin Zuhdi Bashir, 40 anni
Tamer Rushdi Bashir, 30 anni
Hussam Abdeljawad Ramadan
Ahmad Mahmoud, 20 anni
Mohammed Riyad Shamallakh, 23 anni
A’ed Radi
Ameer Al-Malahi
Ramez Harb
Salem Sweilem
Muhammed Ziyad Tbeil
Arkan Abu Kmeil
Ibrahim Al-Hawajri

 

No alla guerra elettorale!



No alla guerra elettorale!

Noi rifiutiamo la guerra e lo spargimento di sangue.

Rifiutiamo l'ondata di odio e di istigazione contro gli abitanti di Gaza.

Rifiutiamo l'abbandono del Sud per spinte politiche.

Unisciti a noi per manifestazioni e azioni di protesta in tutto il paese

Annuncio pubblicato dalla Coalizione di donne per la Pace, New Profile, il Centro di Informazione Alternativa e Yesh Gvul nella prima pagina del quotidiano Haaretz il 16 di novembre.

domenica 18 novembre 2012

GAZA, QUINTO GIORNO DI ATTACCHI - L'appello dei cooperanti italiani





Pubblichiamo l'appello dei cooperanti italiani che si trovano a Gaza









Siamo al quinto giorno di attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza.

Scriviamo questo comunicato nel mezzo del suono incessante dei bombardamenti, che proseguono ininterrottamente giorno e notte, tenendoci svegli e nel terrore assieme a tutta la popolazione di Gaza. Sentiamo sulle nostre teste il rumore continuo dei droni e dei caccia F16 che sorvolano il cielo della Striscia.

Ogni attacco di questa offensiva militare indiscriminata e sproporzionata riaccende i terribili ricordi di Piombo Fuso.

Al momento le strade di Gaza, solitamente caotiche e affollatissime, sono surrealmente deserte, la gente non può far altro che cercare rifugio nelle proprie case. L’esercito israeliano con l’operazione militare “Pilastro della Difesa” sta colpendo tutta la Striscia di Gaza, spesso in aree densamente popolate mettendo a rischio la vita dell’intera popolazione civile.


Da mercoledì 14 novembre le forze aeree israeliane hanno condotto più di 1000 bombardamenti, decine di attacchi dalle navi militari, portando a 50 il numero dei morti, di cui 13 bambini e 4 donne. Circa 500 persone sono state ferite dagli attacchi, l’80% dei quali sono civili e molte sono in condizioni critiche.

Nella notte del 18 novembre sono stati bombardati gli uffici dei principali organi di informazione palestinesi, un gravissimo attacco deliberato alla stampa e all’informazione che ha causato il ferimento grave di sei giornalisti.

Il Ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, ha dichiarato che l’escalation è iniziata con un’"enorme offensiva partita da Gaza" a cui Israele avrebbe legittimamente risposto con una reazione “molto dura, anche se ampiamente anticipata". Ha inoltre affermato che "è necessaria e urgente un'azione che riduca le tensioni, dia sicurezza a Israele e restituisca un minimo di tranquillità alla Striscia di Gaza".


Non possiamo condividere queste posizioni. Le ostilità sono cominciate giovedì 8 novembre con l’incursione via terra dell’esercito israeliano a est di Khan Younis che ha causato la morte di Hamid Abu Daqqa, un adolescente di 13 anni che giocava a pallone davanti casa. Quella israeliana non è una “dura reazione” ma piuttosto un’offensiva indiscriminata che colpisce principalmente la popolazione civile di Gaza, soggetta da sempre alle incursioni via terra, mare e aria sul suo territorio.

I bombardamenti di cui siamo testimoni in questi giorni colpiscono una popolazione imprigionata dal blocco israeliano, illegale secondo il diritto internazionale umanitario, che da cinque anni impedisce il movimento delle persone e isola quasi completamente la Striscia di Gaza dal resto del mondo.

Il lancio di circa 400 razzi dalla Striscia di Gaza ha causato 3 vittime tra i civili israeliani. Condanniamo ogni attacco nei confronti dei civili.

Non possiamo accettare che il Governo Italiano parli di piena sicurezza da un lato e di un “minimo di tranquillità” dall’altro. Crediamo però che anche la popolazione di Gaza così come quella israeliana abbia diritto ad una piena sicurezza e alla massima tranquillità. Ciò può essere possibile solo con la fine dell’assedio e dell’occupazione, con il pieno rispetto dei diritti umani e della dignità del popolo palestinese.

Ci appelliamo al governo italiano e alla comunità internazionale affinché si adoperino per mettere fine a questa aggressione illecita contro i civili palestinesi. Testimonianze da Ospedale Shifa a Gaza

giovedì 25 ottobre 2012

ARMI, ILLEGALITÀ E TANGENTI ECCO PERCHÉ DOBBIAMO FARE SACRIFICI


Nei mesi scorsi denunciavamo lo spreco di denaro pubblico per l'acquisto di 90 cacciabombardieri d'attacco F-35, mentre si chiedono forti sacrifici a tutti e tutte noi con nuove tasse, tagli agli enti locali, alla sanità, alle pensioni, all’istruzione.





Ecco le ultime notizie in merito:
Ci sembrava che la spesa prevista fosse già altissima, invece si è aggiunto un aumento del 60% per cui ciascun F-35 anziché 80 milioni di dollari ne costerà 127: sarà un aumento di spesa di 3 miliardi e 200 milioni di euro.

In Italia la Corte dei Conti non ha sollevato alcuna obiezione a una così enorme crescita di spesa, mentre perfino negli Stati Uniti l'organismo equivalente ha richiamato il Congresso perché ai costi troppo alti e crescenti si aggiungono problemi tecnici che preoccupano perfino il Pentagono. Il rigore di Monti vale per esodati/e, pensionati/e studenti, insegnanti, precari/e ma non per le armi.

Di recente è stato firmato un accordo tra Italia e Israele che prevede da parte dell'Italia la fornitura di 30 aerei M346, un affare da circa 1 miliardo di dollari che saranno compensati da acquisti italiani dello stesso importo e dello stesso tipo: un satellite spia e due velivoli per la guerra elettronica.

Tutto ciò in palese violazione della legge italiana, che vieta la vendita di armi a paesi in guerra e/o responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali sui diritti umani: Israele occupa militarmente dal 1967 i Territori Palestinesi, ha violato decine e decine di Risoluzioni delle Nazioni Unite, mantiene la Striscia di Gaza sotto assedio, sotto le bombe, i droni, gli attacchi “mirati”; e appena una nave internazionale cerca di portare aiuti umanitari, navi e aerei militari israeliani la attaccano in acque internazionali con un atto di vera pirateria, sequestrando nave, passeggeri e beni trasportati. È già successo tre volte, e l'ultima è di qualche giorno fa.

Gli M346 sono prodotti da Finmeccanica, che è la maggiore azienda italiana nella produzione di armi e proprio in questi giorni a proposito di Finmeccanica stanno venendo alla luce brutte storie di corruzione. Sembra, da quanto si sa delle indagini in corso, che per ogni affare concluso ci sia un 11% che finisce in mazzette e tangenti.

Siamo molto preoccupate di questi fatti, perché se ne parla troppo poco, perché sembra che se ne ignori il peso e l'importanza, sia da parte dell'opinione pubblica che dei mezzi di comunicazione: così le decisioni rimangono soltanto nelle stanze del potere.

Eppure ciascuna e ciascuno di noi può cercare di contrastare scelte che non solo ricadono sulla nostra vita quotidiana, togliendoci risorse, ma ci imprigionano in una società sempre più militarizzata facendoci credere che accettare le armi, l'uso della violenza, la guerra sia un male inevitabile.


La nostra visione è quella di un mondo di pace.

 


Rifiutiamo di vivere nel terrore delle armi, e rifiutiamo una continua corsa agli armamenti.
 

 





Rifiutiamo che il denaro pubblico - scarso per la scuola, la salute, la previdenza - venga sprecato in armi e imprese militari.




 
 

Vogliamo che le relazioni tra le persone e i popoli siano improntate a democrazia e cooperazione pacifica, per costruire un mondo più sicuro e giusto.



La Violenza degli Uomini sulle Donne Ci Riguarda Tutte




Il 12 febbraio 2012, in una discoteca di Pizzoli (L'Aquila), una giovane donna di 20 anni è stata stuprata e ridotta in fin di vita e le sono state procurate lesioni gravissime e permanenti.





Il 18 ottobre all'Aquila si tenuta la prima udienza del processo a Francesco Tuccia, (un militare in servizio all'Aquila per l'operazione “Strade Sicure” partita dopo il terremoto) accusato di violenza sessuale e tentato omicidio.

Davanti al Tribunale dell'Aquila, donne e uomini hanno manifestato contro la violenza sulle donne, e dentro il tribunale, il centro antiviolenza dell'Aquila ha chiesto e ottenuto l'ammessione nel procedimento come parte civile - perche questa violenza ci riguarda tutte.


CI RIGUARDA TUTTE l’efferatezza e la viltà degli uomini che in una notte di febbraio hanno massacrato il corpo e la vita di una donna lasciata sulla neve a morire.
CI RIGUARDA TUTTE il massacro del corpo e dei desideri di ogni donna, di ogni età condizione e luogo, che viene disprezzata, usata, maltrattata, percossa, uccisa, stuprata.
CI RIGUARDA TUTTE l'uso che si fa dei nostri corpi in nome di una sicurezza che non ci tutela ma , anzi, ci usa per emettere leggi razziste e repressive. Non ci stancheremo mai di dire che la violenza degli uomini sulle donne non dipende dalla nazionalità/cultura/religione, né dalla classe sociale di appartenenza.
CI RIGUARDA TUTTE perché non vogliamo più doverci difendere da padri, fidanzati, amici, vicini di casa, datori di lavoro, fratelli, zii, medici, maestri, militari….
Affermiamo la voglia e il diritto di autodeterminare le nostre vite.

venerdì 19 ottobre 2012

La Tavola di Appoggio sostiene il dialogo fra il Governo e le FARC per il conseguimento della pace in Colombia

La piattaforma in difesa dei Diritti Umani chiede che si appoggi la partecipazione delle donne al processo aperto recentemente Atelier/Valencia, 10 Ottobre 2012.

La Tavola di Appoggio per la Difesa dei Diritti Umani delle Donne e la Pace in Colombia, formata da più di una ventina di organizzazioni di donne, della cooperazione e dei diritti umani in Spagna e Colombia, esprime il suo appoggio al processo di dialogo iniziato dal Governo e dalla guerriglia delle FARC al fine di arrivare ad un accordo definitivo di pace in Colombia.

La Piattaforma reclama anche che si appoggi la partecipazione delle donne al processo secondo quanto viene esplicitato nella Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU su Donna, Pace, Sicurezza. I soggetti che fanno parte della Tavola esprimono il loro appoggio e solidarietà ai colombiani e alle colombiane che lavorano in difesa dei diritti umani, in special modo delle donne, e portano avanti azioni efficaci per frenare la violenza nel paese.

Allo stesso tempo la piattaforma con sede a Valencia condivide e difende la posizione delle donne per la pace e di coloro che cercano una uscita politica negoziata dal conflitto che si vive in Colombia per le cui conseguenze in più di 50 anni le donne hanno vissuto sofferenze sproporzionate.

Fin dalla sua creazione la Tavola di Appoggio ha auspicato la via politica negoziata a favore di una pace giusta e duratura In questo senso chiede al Governo che tenga conto dell’apporto e dell’esperienza delle donne che lavorano per la pace.

La Tavola di Appoggio piu' di organizzazioni di donne, con lo scopo di mantenere un'azione permanente di solidarietà internazionale volto a denunciare la violazione dei diritti umani delle donne in Colombia e a diffondere le raccomandazioni delle organizzazioni femminili e le agenzie internazionali nelle settore politiche pubbliche.

Della Tavola di Appoggio fanno parte:

Oganizzazioni della Spagna:
Atelier, Centro de Estudios de la Mujer de la Universidad de Alicante, Asociación de Mujeres Marxa 2000 de Valencia, Fundación Isonomía – Universitat Jaume I de Castellón, Secretaría de la Mujer de CC OO del País Valencia, Mujeres de Negro (Valencia),Asociación de Mujeres Inmigrantes (Valencia), Themis –Asociación de Mujeres Juristas, Mujeres en Zona de Conflicto (Córdoba), la Federación de Organizaciones de Defensa y Promoción de los DD HH, el grupo Mujer de la Asociación Pro Derechos Humanos y el grupo de acción y desarrollo solidario “Gades”, Intersindical Área de la Dona, Cátedra de estudios de las mujeres ‘Leonor Guzmán’, Asociación Por Tí Mujer.

Oganizzazioni della Colombia:
Sisma Mujer; Asociación Nacional de Mujeres Campesinas, Negras e Indígenas de Colombia (Anmucic); Organización Femenina Popular; Red Nacional de Mujeres; Indepaz, Ruta Pacífica de las Mujeres, Asociación Construyendo Nuestro Futuro y Movimiento Social de mujeres contra la guerra y por la Paz; Corporación Colombiana de Teatro.

mercoledì 17 ottobre 2012

No all'Accordo UE-Israele. No allo Sfruttamento della Popolazione Palestinese

Lo scorso mese, organizzazioni e attivisti in tutta Europa si sono mobilitati per convincere la Commissione per il Commercio Internazionale del Parlamento europeo a bloccare un nuovo protocollo commerciale con Israele. Migliaia di persone hanno firmato petizioni e altre centinaia hanno scritto ai loro europarlamentari. Il margine di approvazione è stato molto ristretto: se un solo deputato in più avesse votato con noi, l’accordo sarebbe stato bloccato.

L'accordo deve ancora essere approvato in seduta plenaria del Parlamento europeo che si terrà il 23 ottobre. Se approvato, l'Accordo per la valutazione della conformità e l'accettazione dei prodotti industriali (ACAA) eliminerebbe le barriere agli scambi tra Israele e gli Stati membri nel settore dei prodotti industriali, in particolare i prodotti farmaceutici.

La relazione: "l'industria farmaceutica e l'occupazione israeliana - economia prigioniera" del progetto di ricerca israeliano Who Profits [whoprofits.org]dimostra come l'industria palestinese farmaceutica è, per molti aspetti, prigioniera del sistema israeliano dal momento che Israele controlla i confini del Territori Palestinesi Occupati (OPT) e molti dei suoi affari economici che incidono sul commercio: le aziende farmaceutiche palestinesi dipendono da enti governativi israeliani, doganali e di mercato. Gli standard israeliani sono uno dei tanti strumenti utilizzati per impedire all’industria farmaceutica palestinese di accedere ai mercati. A causa dell’annessione di Gerusalemme Est, illegale secondo il diritto internazionale, le istituzioni palestinesi che vi si trovano sono obbligate ad acquistare le merci prodotte da compagnie israeliane.

La relazione rivela inoltre come il dominio diretto di Israele dei territori occupati permette lo sfruttamento della sua terra e delle sue risorse. La politica dell'occupazione crea una disuguaglianza strutturale, in cui è estremamente difficile per i palestinesi importare materie prime ed esportare prodotti farmaceutici, mentre i produttori israeliani possono importare i loro prodotti senza posti di blocco, controlli di sicurezza o permessi speciali.

Il controllo israeliano sulla terra palestinese, gli ostacoli alla circolazione delle merci e delle persone, lo sfruttamento delle risorse naturali e la dipendenza dai regolamenti e le politiche israeliane, tutto contribuisce a questa situazione iniqua.

Questo accordo rafforzerebbe le relazioni UE-Israele e premierebbe Israele per le sue continue violazioni del diritto internazionale. È probabile che il voto avrà un margine esiguo.

Il Coordinamento Europeo dei Comitati e delle Associazioni per la Palestina (ECCP) chiede ai sostenitori dei diritti dei palestinesi che sono cittadini o residenti nell'Unione europea di scrivere ai loro deputati esortandoli a votare contro il nuovo accordo.

Attivati per i diritti umani dei palestinesi, bloccando l'adozione dell'accordo. Ci vogliono solo pochi minuti per scrivere agli europarlamentari cliccando qui.

 
Captive Economy

domenica 14 ottobre 2012

Un Carico di Tenerezza per La Fine del Blocco di Gaza

Una settimana fa ci siamo ritrovati a Napoli sul Molo Beverello mentre la nave Estelle salpo' verso Gaza.

Il suo carico è piccolo - un paio di centinaia di palloni, strumenti musicali, un ulivo, un po 'di cemento - e la nostra solidarietà e tenerezza per il popolo di Gaza, tenuto sotto assedio per tanti anni.

Ieri, il ministero degli Esteri finlandese ( l'Estelle batte bandiera finlandese) ha comunicato di aver ricevuto un messaggio da Israele "“nel caso in cui la Estelle tentasse di rompere il blocco marittimo di Gaza (20miglia marine), Israele interverrà usando la forza. Se ciò accadesse, la sicurezza delle persone a bordo potrebbe essere compromessa”.

Finlandia ha tuttavia sottolineato che si tratta di una nave civile e ha chiesto moderazione.

Esortiamo Israele di non usare la forza contro una nave che si avvicina pacificamente. L'Estelle fa parte di un'azione della società civile internazionale per i diritti umani. Né il veliero né i passeggeri costituiscono alcuna minaccia contro alcuno. Attaccare l’imbarcazione con la forza è una scelta che Israele può benissimo non fare. Ci auguriamo che le persone e i governi del mondo si schierino dalla parte dei diritti umani e della non violenza.

Il blocco di Gaza è illegale, disumano e controproducente per Israele: non impedisce alle armi di entrare nella Striscia, nè ai missili di essere sparati, non ha impoverito Hamas. Al contrario. Il blocco è un evidente impedimento per una pace sostenibile e giusta.

E’ altrettanto evidente che molti dei nostri politici sono assenti quando si tratta di dichiarazioni sui diritti umani o difesa del diritto internazionale. Quindi, è giunto il momento per l'azione civile. Il nostro messaggio è semplice:

i Palestinesi sono esseri umani con diritti umani!
Basta con l’assedio!
Lasciateli muovere




mercoledì 10 ottobre 2012

La Forza della Nonviolenza

Al momento della votazione per l'art. 11, cioè quello contro la guerra - "L'Italia ripudia la guerra”, è stato scelto il termine più deciso e forte - tutte le donne che erano lì, 21, siamo scese nell'emiciclo e ci siamo strette la mano tutte insieme, eravamo una catena, e gli uomini hanno applaudito. E per questo, quando ora vedo tutti questi mezzucci per giustificare i nostri interventi italiani nelle varie guerre che aborriamo, io mi sento sconvolta perché penso a quel momento, penso a quelle parole e penso che se non sono le donne che difendono la pace prima di tutto non ci sarà un avvenire per il nostro paese e per tutti i paesi del mondo.
Da un'intervista a Teresa Mattei a Radio3 Mondo, 2 giugno 2006


La prima settimana di ottobre è aperta con la giornata internazionale della nonviolenza- 2 ottobre, anniversario della nascita di Gandhi. Ha chiuso con il triste anniversario di 11 anni di guerra e occupazione militare in Afghanistan.


Una guerra che non ha raggiunto ne uno dei suoi obiettivi dichiarati (lotta al terrorismo, portare democrazia e sicurezza, liberare le donne).

Una guerra in cui sono stati uccisi oltre 40.000 civili, in cui i talebani hanno ripreso il controllo dei due terzi del paese, e che si è estesa al Pakistan.

Una guerra e occupazione in cui i signori della guerra e dell’oppio comandano e la povertà colpisce ormai l’80% della popolazione, in cui l’aumento della produzione di oppio è arrivato ormai al 93% di tutto quello prodotto nel mondo, in cui dilaga la corruzione.

Una guerra e occupazione in cui la vita delle donne è peggiorata al punto che i suicidi sono aumentati a livelli senza precedenti (donne fra i 18 e i 35 anni si danno fuoco per sottrarsi alla violenza insopportabile del loro destino).

Una guerra e occupazione che costa 50.000 Euro al minuto.

Una guerra e occupazione le cui consequenze ci confirmano nel nostro impegno per la nonviolenza.

Nonviolenza significa resistenza attiva ad ogni forma di violenza e, innanzitutto, alla guerra, espressione massima della violenza umana.

Nonviolenza vuol dire RIPUDIO DELLA GUERRA: oggi in Italia ciò significa uscire dalle guerrefatte in nome nostro contro il dettato costituzionale (art.11).

Senza armi e strutture militari non ci sarebbero guerre.

Il nostro governo, anche in questo momento di grave crisi economica, continua a sperperare risorse in spese militari. Solo qualche dato:
Il bilancio 2011 delle forze armate è stato di 23 miliardi di euro: con questi soldi si sarebbe coperta la spesa sanitaria della Regione Veneto per due anni e mezzo.
Per la missione in Afghanistan si spengono più di 2 milioni di euro al giorno: 500 giorni di missione costano come un anno di spesa sociale della Regione Veneto.
La Difesa spende 10 miliardi di euro per l’acquisto di 90 cacciabombardieri F35: con il costo di un solo aereo si potrebbe pagare l’indennità di disoccupazione mensile a 150.000 lavoratori.

Senza la diffusione di una cultura militarista che crea continuamente un nemico da temere e che ritiene normale, anzi giusto, il ricorso alle armi, non ci sarebbero guerre.

Noi pensiamo che l’uso della violenza e la cultura delle armi siano le più assurde, le più stupide, le più crudeli attività che l’uomo abbia messo in campo nel corso della storia. Ci chiediamo: perché nessuno descrive lo scenario provocato dalle guerre da noi supportate? Lutti, terrore, disperazione, stragi di civili, tabula rasa dei diritti costituzionali e internazionali, accaparramento da parte delle potenze occidentali di risorse per mantenere il loro modello di sviluppo. L’unica cosa certa è che le numerose guerre degli ultimi 20 anni non hanno risolto alcun conflitto, anzi spesso hanno lasciato una situazione peggiore.

Nel ricordo di Gandhi che ha insegnato e praticato la lotta nonviolenta contro l’ingiustizia e l’occupazione straniera rifuggendo dal ricorso alle armi, invitiamo a riflettere sullo sperpero di risorse per perpetuare la logica della guerra che produce solo morte odio e altra violenza.

Nonviolenza significa opporsi a ogni pratica di guerra con pratiche di pace.
 
 

Nella prima settimana di ottobre abbiamo anche vissuto due esempi di pratiche di pace: La permanenza della nave Estelle in acque italiane prima di salpare per Gaza portando solidarietà a gente che vive sotto un assedio crudele,

e la manifestazione a Niscemi, Sicilia contro il MUOS (Mobile User Objective System), un sistema di comunicazione satellitare che attraverso enormi parabole permetterà il flusso planetario di comandi militari bellici ad uso esclusivo delle forze armate statunitensi. 

 


NON PIÙ TERRA, NON PIÙ SOLDI, NON PIÙ FABBRICHE PER LA GUERRA!

domenica 16 settembre 2012

Chi Demolisce Una Scuola Demolisce il Futuro

Gli Stati parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione e a garantirli a ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza.

Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo all'educazione^ Convenzione sui diritti dell'infanzia, articoli 2 e 28.


Israele ha ratificato la Convenzione il 3 luglio 1990

Israele esercita la giurisdizione nell'area C della Cisgiordania, ma proprio come nel caso dei detenuti minori, diritti garantiti dalle convenzioni internazionali non sono concessi ai bambini palestinesi.

Secondo i dati riportati dell'UNICEF, almeno 26 scuole situate in area C e a Gerusalemme Est hanno ricevuto un ordine di demolizione e la loro esistenza è legata al volere dall'Amministrazione Civile Israeliana.



La demolizione di strutture abitative ed educative fa parte della politica che Israele mette in pratica nell'area C. Khan al-Ahmar è un villaggio beduino alla periferia di Gerusalemme continuamente minacciato dall'espansione della colonie israeliane nell'area di Ma'ale Adumim.

Un villaggio fatto di capanne e tende, dove vivono circa 100 famiglie beduine, che lottano quotidianamente contro gli ordini di demolizione emessi dall'Amministrazione Civile Israeliana.

Tra le strutture minacciate c'è anche la scuola del villaggio, costruita con copertoni e fango nel 2009 dall'ong italiana "Vento di Terra". I coloni del vicino insediamento di Kfar Adumim si sono rivolti alla corte per chiedere all'IDF e all'Amministrazione Civile l'attuazione di un ordine di demolizione della scuola promulgato nel 2009, pochi mesi dopo la costruzione della struttura educativa.

Altra storia ma stesso destino: Kaabneh è un villaggio beduino vicino a Gerico, schiacciato tra una colonia e due avamposti. Più della metà degli abitanti sono bambini. La loro scuola, a 5 km di distanza dal villaggio, è costituita da container mobili, caldi d'estate e freddi d'inverno: un solo servizio igienico, classi sovraffollate e troppo poco spazio per garantire il diritto all'istruzione a tutti.

Diritto minacciato dagli ordini di demolizione di alcune aule della scuola e di molte abitazioni.

E 'sullo sfondo della negazione dei diritti dei bambini palestinesi ad avere un futuro che l'Unione europea decidera' sul potenziamento dei legami commerciali con Israele.

Il 18 settembre la Commissione per il Commercio Internazionale del Parlamento Europeo si esprimerà sull’accordo ACAA UE-Israele, un voto decisivo che prepara la strada per la seduta plenaria ad ottobre.

I membri della Commissione sono divisi sulla questione, per cui è molto importante che arrivino pressioni forti.
 
Israele va condannato e non premiato per le continue violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale!

Clicca per mandare un messaggio agli europarlamentari italiani: Vota NO all'ACCA UE-Israele

domenica 9 settembre 2012

No al MUOS No ai Droni. Si' alla Smilitarizzazione della Sicilia




Dobbiamo opporci a chi minaccia le nostre vite e riprendere in mano ora il nostro futuro.
 
 




Dalla Sicilia i  No Muos stanno mobilitando. Dopo tre giorni di presidio (7-9 settembre),  martedi 11 settembre alle ore 15 una delegazione del comitato No Muos si incontrara' alla Camera con la Commissione Difesa. Durante l' audizione sitin pacifista in´piazza  Montecitorio

Le forze armate USA stanno installando a Niscemi, in Sicilia, un sistema di controllo satellitare a scopi bellici. M.U.O.S.- Mobile User Objective System, che opera attraverso trasmissioni in UHF (Ultra High Frequency) e che ha una potenza di circa due milioni di Watt.

Un sistema che viene utilizzato, anche, per dirigere i "droni" - aerei militari privi di pilota e contro il quale si sono più volte sollevate le proteste delle popolazioni locali. Ad uso esclusivo delle forze statunitensi, trasmetterà i comandi di guerra in ogni parte del mondo per qualsiasi tipo di guerra. Collegherà fra loro gli arsenali di morte sparsi in tutto il pianeta.

 La potenza del fascio di microonde del MUOS può provocare gravi interferenze nella strumentazione di bordo degli aerei investiti accidentalmente. L'entrata in funzione dei trasmettitori del MUOS avrà come conseguenza un incremento del rischio di contrarre vari tipi di malattie.

Nocivo per la salute dei siciliani, capace di interferire con le strumentazioni tecnologiche dell’aeroporto Fontanarossa di Catania e d’impedire l’entrata in funzione di quello di Comiso , ingombrante ostacolo per il rilancio delle economie territoriali, il Muos è soprattutto uno strumento di guerra e di morte, l’arma perfetta per i conflitti del 21° secolo degli Usa, catastrofica rappresentazione dell’opera umana nell’ambiente naturale, a partire dalla devastazione della riserva naturale SIC Sughereta a Niscemi  e dei suoi pericolosissimi effetti sulla vita.-

A Sigonella la situazione è altrettanto allarmante poiché la base Usa è diventata la capitale mondiale dei droni (Global Hawk,Predator, Reaper) e del sistema di sorveglianza terrestre AGS per le guerre telecomandate, che stanno causando insostenibili pericoli per le popolazioni ed il traffico aereo civile.

  • Vogliamo che si revochi l’installazione del MUOS e si smantellino le 41 antenne NRTF esistenti a Niscemi
  • Vogliamo che la base di Sigonella sia smilitarizzata e riconvertita in aeroporto civile internazionale Vogliamo che si taglino le crescenti spese militari per le guerre neocoloniali , mentre chi governa procede con tagli alle spese sociali per salvare il capitale finanziario ed il debito delle banche
  • Impediamo che la Sicilia continui ad essere un avamposto di guerra; Mobilitiamoci per una Sicilia ponte di pace e cooperazione fra i popoli e per un Mediterraneo mare di pace.
I comitati No Muos stanno lanciando una settimana di mobilitazione per la smilitarizzazione della Sicilia dal 29 settembre al 6 ottobre.

Secondo il programma attuale, una carovana partirà il primo ottobre da Messina per poi proseguire da Catania – dove si concentreranno anche i gruppi del Calatino – nei giorni successivi. Un presidio informativo verrà intanto installato all’aeroporto catanese e a Sigonella. In mezzo, anche un incontro multietnico di fronte al Cara di Mineo e una serata organizzata insieme al Comune di Palagonia, sensibile alla causa dei comitati. Dal 4 al 6 ottobre, la mobilitazione sarà a Niscemi dove si concluderà con una manifestazione nazionale.



 
Manifestazione Nazionale Il 6 ottobre a Niscemi