giovedì 8 marzo 2012

Da una sponda all’altra: vite che contano

Native e migranti per pace e diritti

La guerra è entrata nel quotidiano, eppure bisogna continuare a pensare alla pace, e da donne».
Virginia Woolf


Noi Donne in Nero dedichiamo la Giornata internazionale della donna a tutte le donne che agiscono per la democrazia e per la libertà-liberazione di tutte, di tutti. La dedichiamo, in particolare, alle donne protagoniste delle “primavere arabe” del 2011. Siamo convinte che nessuna primavera potrà fiorire nella luce estiva (né per loro, né per il mondo intero) senza i sogni e i desideri delle bambine e delle donne che, come noi, cercano di abitare il mondo con amore, giustizia e solidarietà, attraverso confini e conflitti, con la forza della tenerezza e della non violenza.

Nei mesi successivi alla rivolta tunisina dei gelsomini (14 gennaio 2011), alle manifestazioni in Libia represse violentemente e alla guerra (a cui anche l’Italia ha partecipato nonostante l’articolo 11 della nostra Costituzione), ci sono stati centinaia di scomparsi e di morti per i naufragi nel mare nostrum.

Molti giovani sono partiti verso l'Europa rivendicando la loro libertà di movimento. Di oltre 500 di loro non ci sono più notizie. Sono morti? Sono nei Centri di Identificazione e di Espulsione, sono nelle carceri italiane?


Dei loro nomi non sappiamo, delle loro storie nemmeno; conosciamo il mare che li porta con sé attorno ai luoghi da noi abitati. Ognuno di loro − donne, uomini, bambine e bambini − ha avuto una donna che gli ha dato la vita e adesso forse ha una striscia d’acqua a scarnificarne il corpo e a trasportarne le ossa.

Il desiderio delle madri, delle sorelle, delle mogli, delle fidanzate, delle amiche, dei familiari, degli amici di conoscere la sorte delle persone care scomparse è talmente radicale da superare confini e barriere e giungere sino a noi. Porta con sé il desiderio di libertà che quegli uomini e quelle donne hanno agito nell'attraversamento del Mediterraneo.

Oggi, nella Giornata internazionale della donna, noi Donne in nero vogliamo dare voce alle donne che in Africa, in Italia, in Europa, in America, nel mondo reagiscono al dolore chiedendo che nessuno, nessuna, possa scomparire, in mare o nei centri di identificazione ed espulsione o nelle prigioni o inghiottiti dall’indifferenza e dall’oblio.

Proprio come le donne messicane di Nuestras hijas de regresso a casa e come le Madres de Plaza de Mayo, siamo convinte che le figlie e i figli scomparsi «sono vivi per sempre. Desaparecidos a causa del terrore e della morte, desaparecidos a causa della menzogna e della complicità. Vivi nella vittoria dei sogni. Questi sogni che come la luce della meraviglia annunciano il giorno».

Ignorate dalle istituzioni tunisine, italiane ed europee, le famiglie delle scomparse e degli scomparsi partiti dalla Tunisia, chiedono che le impronte, usate per schedare le persone e ostacolarne la libertà di movimento, vengano utilizzate in questo caso per sapere se e dove siano arrivati i loro figli e le loro figlie. Donne e uomini in Tunisia manifestano per ottenere che il ministro degli Esteri tunisino chieda al governo italiano una verifica sulle impronte. Noi, qui in Italia − insieme al collettivo femminista di donne native Le2511 (http://leventicinqueundici.noblogs.org, venticinquenovembre@gmail.com), e ad un gruppo di donne tunisine in Italia − chiediamo che Anna Maria Cancellieri, ministra degli Interni italiana raccolga la loro richiesta.

Noi Donne in nero manifestiamo in silenzio per far tacere il silenzio del mare e denunciare le responsabilità dei nostri governi (attuale e precedenti) sulle politiche di respingimento. I respingimenti che l’Italia da anni attua e che noi da anni denunciamo come inumani e ingiusti sono stati recentemente condannati anche dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. La Corte ha dichiarato che l'Italia nel caso Hirsi (200 persone respinte verso la Libia nel 2009) non ha rispettato l'articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura. Ha stabilito che l'Italia ha violato il divieto alle espulsioni collettive (è la seconda volta in sessanta anni che la Corte condanna per questo uno stato) e non ha rispettato il diritto delle vittime (24 persone, 11 somale e 13 eritree, rintracciate in Libia e assistite dal Consiglio Italiano per i Rifugiati) di fare ricorso presso i tribunali italiani.

Oggi 8 marzo vogliamo, dare simbolicamente, almeno per un giorno, cittadinanza in questo Paese che le ha respinte e le ha costrette ad un viaggio forse mortale a quelle persone che non incontreremo mai e che sarebbero potute diventare nostre concittadine.

Continueremo a chiedere che venga fermata la macchina dei respingimenti verso il Nord Africa perché vogliamo vivere in un paese accogliente. Vogliamo dire che c'è un'altra Italia che ci siamo anche noi: radicate nelle piazze, con le teste vicine al cielo a costruire un mondo libero da guerre, violenze e povertà.

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