domenica 30 giugno 2013

Il Freedom Theatre - Generando la Resistenza Culturale








La sola vera arma rimasta è l’immaginazione. Io non ho che questo. La capacità di immaginare un futuro diverso per i palestinesi.


Zakaria Zubeidi, Direttore del Freedom Theatre








Il Freedom Theatre è un coraggioso progetto, attivo nel campo profughi di Jenin, in Palestina, dal 2006.: è la prima scuola di teatro, costruita nel difficilissimo contesto dell’occupazione israeliana, il cui scopo è creare e alimentare un movimento che non si esprima con le armi ma attraverso l’arte, un’alternativa quotidiana alla violenza armata, rivolta soprattutto alle nuove generazioni, a cui si offre uno spazio aperto, dove potersi esprimere creativamente e liberamente.

Questo teatro si chiama Freedom Theatre perché non avremo libertà senza cultura. Senza immaginazione. L’unica cosa che abbiamo capito in quarant’anni di guerra è che né noi né gli israeliani possiamo vincere militarmente. Non esistono opzioni militari qui, solo opzioni politiche. Noi siamo troppo deboli, ma loro non possono cancellarci. Assassinarci tutti. E allora la sola vera arma rimasta è l’immaginazione. Io non ho che questo. La capacità di immaginare un futuro diverso per i palestinesi. 
(da un’intervista a Zakaria Zubeidi, che attraverso questa esperienza, ha lasciato la lotta armata ed è diventato attivista di prima linea del Teatro) 

L’idea del teatro risale al lavoro e alle attività di Arna Mer Kamis, israeliana, sposata con un palestinese, che durante la prima Intifada aveva fondato lo “Stone Theatre” (Teatro delle Pietre) poi distrutto dagli israeliani. Nelle sue intenzioni doveva essere prima di tutto un modo per togliere i bambini e le bambine dalla strada, per allontanarli dal circolo di violenza innescato da anni di occupazione. Fare teatro era la sua cura per i traumi infantili, così diffusi in quel contesto, ed un coraggioso tentativo di restituire una qualche normalità a un’infanzia sofferente.

Purtroppo, dei giovani attori del Teatro delle Pietre, in pochi si sono salvati, il teatro è stato distrutto e Arna non c’è più. Tutto il lavoro comunque è documentato in “Arna’s Children”, film realizzato da Juliano, figlio di Arna, che si definiva palestinese ed ebreo, ed ha continuato il tenace lavoro della madre, creando un nuovo teatro, appunto il “Freedom Theatre”.

Non siamo il teatro nel senso tradizionale - diceva - usiamo tutti i mezzi dell’arte, prima per comunicare con il mondo, poi per ricostruire l’identità perduta. Chi siamo? Dove stiamo andando? Cosa pensiamo? Perchè siamo in questa situazione? Quale tipo di indipendenza vogliamo e come possiamo costruire identità senza cultura?
C’è bisogno di un riflesso di se stessi. E’ così che si costruisce il sé: riflettendo se stessi su uno schermo, nelle pagine di un libro, creando un dibattito, un dialogo….

Purtroppo il 4 aprile 2011 Juliano viene ucciso a Jenin con 5 colpi di pistola. Il suo assassino è ancora sconosciuto, certamente era qualcuno che voleva uccidere il teatro come forma di RE-ESISTENZA, l’unica che può permettere di costruire un futuro di Pace, Cultura, Libertà.

Ma il lavoro del teatro continua nella direzione iniziale grazie all’impegno di tanti artisti, operatori e anche sostenitori, ma soprattutto per il desiderio di tanti bambini/e e di tanti giovani.

Quest’anno la compagnia è stata invitata a partecipare all’estate culturale di Bologna, il 13 e il 14 luglio. Purtroppo i fondi messi a loro disposizione non sono sufficienti per coprire tutte le spese; chi volesse contribuire può farlo sul c/c bancario: IBAN IT 50 O 03127 74610 00000 0001527 intestato ad Assopace Palestina - causale Jenin

Invitiamo tutte e tutti – e in primo luogo chi ama e fa teatro - a sostenere il Freedom Theatre, a tutti i livelli: sicuramente economico, ma anche con una concreta condivisione di un corraggioso progetto dal forte valore simbolico, che riteniamo valido per tutti noi, per tutti i popoli, in tutti i paesi del mondo.



"Il 


Il Freedom Theatre crede che il teatro e le arti abbiano un ruolo cruciale per la creazione di una società libera e sana

Juliano Mer Khamis 

http://www.thefreedomtheatre.org/
https://www.facebook.com/thefreedomtheatre?fref=ts

martedì 25 giugno 2013

Pace in Colombia? Bisogna superare le esclusioni e ingiustizie che vivono le contadine




Raccogliamo l'eredità storica delle donne che hanno rivendicato il diritto alla pace e il dialogo come unico strumento politico e etico per la risoluzione dei conflitti privati e pubblici






Pronunciamento di Mujeres por la Paz sul primo accordo del Tavolo di Negoziazione dell’Avana su "Politica di sviluppo agrario Integrale" 

Bogotá, 17 giugno 2013
Signori
Humberto de la Calle Lombana e Delegati del Governo Nazionale ai Dialoghi di Pace
Iván Márquez e delegati delle FARC ai Dialoghi di Pace
L’Avana, Cuba.

Stimate delegate e delegati,

Mujeres por la Paz è un ampio coordinamento in cui confluiscono donne di diverse regioni del paese, vittime, difensore dei Diritti umani, femministe, contadine, di partiti politici, giovani, lesbiche, sindacaliste, ecumeniche, artiste, donne in rappresentanza di organizzazioni e donne a titolo personale, che hanno un fine comune: l’impegno nella costruzione della pace e proteggere e accompagnare il processo di dialogo per la pace in Colombia, esigendo dal governo e dalle FARC di portare a conclusione l’accordo per cui si sono impegnati e di non alzarsi dal tavolo del negoziato prima di aver firmato l’impegno di porre fine al conflitto armato e costruire la pace.

Riteniamo un fatto di portata storica per la costruzione della pace l’accordo raggiunto a L’Avana sul primo punto dell’agenda pattuita, che riguarda la “politica di sviluppo agrario integrale”. L’accordo è una dimostrazione della volontà politica delle parti di porre termine al conflitto armato e affidare alle colombiane e ai colombiani il compito della costruzione della pace. L’accordo contribuisce ad ampliare il sostegno cittadino al processo di dialogo e a proteggere il processo dagli attacchi di chi ancora ritiene che la guerra è la via migliore per risolvere i gravi conflitti sociali, economici e politici presenti nella società colombiana.

Benché non si conoscano i dettagli dell’accordo, i punti generali raggiunti non tengono in considerazione le donne contadine che non solo hanno contribuito in modo sostanziale alla resistenza e alla sopravvivenza, ma sono anche state vittime del conflitto armato. Temi come la distribuzione e il possesso della terra, l’eliminazione della povertà nelle campagne, il miglioramento delle condizioni di lavoro per le contadine e i contadini, la salute e l’educazione toccano in modo diverso le donne e gli uomini, questo è un tema di importanza vitale non solo per il raggiungimento della pace ma anche per superare le ingiustizie che si vivono nella campagna colombiana.

Come esposto nel documento presentato da Mujeres por la Paz al “Foro sobre Política Agraria” tenutosi a Bogotà a dicembre del 2012, tre sono i modi principali con cui ai manifestano le relazioni di oppressione e subordinazione vissute dalle donne.

  • Il primo
è costituito dalle condizioni di disuguaglianza derivanti dal fatto di vivere in campagna rispetto alle donne di città. Le donne nel settore rurale presentano maggiori percentuali di analfabetismo, mortalità per malattie, maggiori indici di violenza contro di loro; maggiori percentuali di disoccupazione, e, infine, minore qualità di vita, obiettivamente misurata.
  • Il secondo
 è il minor accesso alla proprietà della terra, così come il finanziamento delle loro iniziative produttive che dipendono dai maschi per qualsiasi tipo di impresa. “Per le donne rurali, la terra, più che uno spazio fisico o un enunciato giuridico o geografico, è una interrelazione con l’ambiente che ha un senso comunitario e culturale. La terra rappresenta la loro storia e il loro principale mezzo di sussistenza, dunque lì trovano il loro lavoro, il loro sviluppo familiare, sociale e politico. Questa situazione non permette loro di creare un vincolo reale con la terra, dato che l’uomo è il proprietario ed ha il potere di decidere sulla produzione e la distribuzione del lavoro familiare” (Rodríguez Laura T; 2010).
  • Il terzo
sta nel carattere differenziato degli effetti che ha il conflitto armato sui loro corpi e sulle loro vite: le donne rurali, le cui discriminazioni si accumulano lungo la loro vita, devono affrontare contesti ostili che utilizzano i loro corpi come spazi della guerra e le loro vite come parte di strategie esemplificatrici. Esprimiamo la nostra preoccupazione perché nei punti dell’accordo non si includono le donne come soggetti delle riforme strutturali che si devono realizzare a favore dell’agricoltura colombiana; per esempio si parla di terra per il contadino e non si citano le contadine.

Speriamo che l’accordo raggiunto non solo superi l’esposizione del signor Humberto de la Calle Lombana, capo negoziatore del governo, secondo cui questo accordo non è secondo “la visione tradizionale di una riforma agraria, ma pretende di creare cambiamenti reali per saldare la breccia tra il paese rurale e quello urbano”, ma superi anche le ingiuste condizioni sociali, economiche e politiche che devono affrontare le contadine.

Superare queste tradizionali esclusioni e ingiustizie che vivono le contadine e le donne colombiane, richiede che voi facciate un primo passo che consiste nell’includere le donne come soggetti di diritti e come soggetti di trasformazioni sociali, perciò, sapendo che gli accordi sono generali, insistiamo perchè si parli un linguaggio inclusivo che permetterà, nel momento di definire programmi e strategie, di dar vita ad accordi in cui le donne si trovino comprese.


Alla vostra attenzione
Mujeres por la Paz


 

giovedì 20 giugno 2013

Siria: 10 Punti Verso la Riconciliazione e la Pace

Dieci punti per la pace e la riconciliazione in Siria

Mussalaha: Riconciliazione

Sostenere la risoluzione dei conflitti attraverso il negoziato e l'attuazione di un processo democratico.

Arrestare il flusso di armi in Siria.

Stigmatizzare metodi di guerra che sono contro la Convenzione di Ginevra.

Frenare le interferenze straniere nel conflitto siriano.

Fornire informazioni veritiere sul conflitto in Siria.

Supporto ai nuovi partiti politici che si moltiplicano e danno una forma nuova nel panorama politico in Siria.

Cessare le sanzioni che  stanno solo danneggiando  la popolazione civile.

Equa distribuzione degli aiuti umanitari.

Appello all' imparzialità tra le ONG che lavorano nel conflitto siriano.

Sostenere un nuovo stato che  garantirà parità di cittadinanza e la libertà religiosa per tutti i gruppi religiosi ed etnici

Fra uccidere e morire c’è una terza via, vivere

lunedì 17 giugno 2013

Riconciliazione: La pace possibile fermando le interferenze straniere

Dopo una visita di 10 giorni in Libano e in Siria, a capo di una delegazione di 16 persone provenienti da 8 paesi, invitata dal Movimento Mussalaha per la Riconciliazione, sono ritornata con la speranza che la pace sia possibile in Siria, a condizione che tutte le interferenze straniere vengano fermate e ai Siriani sia concesso risolvere i loro problemi in base al diritto all’autodeterminazione.

Mairead Maguire, Premio Nobel per la Pace

Purtroppo, questa speranza sta svanendo con l'annuncio che gli Stati Uniti forniranno armi direttamente all'"opposizione siriana" - e sicuramente i suoi alleati europei, tra cui l'Italia seguiranno.

L'affermazione della Casa Bianca che questa escalation militare è la risposta degli Stati Uniti alla violazione delle norme internazionali per l'uso da parte del governo siriano di armi chimiche è un insulto alla nostra intelligenza.

La spinta verso un intervento diretto non ha nulla a che fare con il desiderio di proteggere la vita umana in Siria. Gli Stati Uniti e le altre potenze esterne non possono essere visti come mediatori onesti. Dietro la facciata di preoccupazione umanitaria, vediamo i soliti interessi economici e strategici. Ad esempio, un nuovo gasdotto è previsto per portare il gas iraniano in Siria, e, eventualmente, ai mercati europei. Questo non corrisponde agli interessi degli Stati Uniti e dei loro alleati. Così, il popolo della Siria saranno sottoposti ad una guerra di rapina che per quanto possa rovesciare Assad, non porterà loro la libertà o l'autodeterminazione.

Dopo l'intervento libico, gli Stati Uniti ed i suoi alleati, ovviamente, credevano di poter facilmente perseguire una simile strategia di dirottare le proteste popolari e di fomentare una guerra civile settaria per rovesciare Assad, per poi installare un governo fantoccio. Che proprio non è accaduto e il motivo fondamentale non è una mancanza di armi - Qatar, Arabia Saudita e Turchia hanno ricevuto il sostegno segreto di Washington nel inviare armi agli elementi islamici più virulenti del movimento ribelle, mentre la Russia e l'Iran hanno forniti armi al governo siriano - ma piuttosto il fatto che la maggioranza della popolazione, per quanto  possa essere ostile a Assad, risentono l'interferenze straniera e i jihadisti stranieri ancora di più, come testimoniato dalla relazione di Mairead Maguire di cui pubblichiamo qui il sommario e le conclusione. Clicca qui per la relazione completa.



Sommario


Seguendo vari report nei media mainstream e le testimonianze da noi raccolte, posso affermare che lo Stato Siriano e la sua popolazione sono sottoposti a una guerra per procura condotta da paesi stranieri e direttamente finanziata e sostenuta principalmente dal Qatarche ha imposto il suo punto di vista alla Lega Araba. La Turchia, una parte dell’opposizione Libanese e alcune autorità Giordane offrono un rifugio sicuro a una varietà di gruppi Jihadisti ciascuno con una propria agenda, assoldati da molti paesi. Bande di Jihadisti armati e finanziati da paesi stranieri invadono la Siria attraverso Turchia, Giordania e le porose frontiere del Libano, con l’obiettivo di destabilizzare la Siria. Si stimano 50.000 combattenti Jihadisti. Queste squadre di morte stanno sistematicamente distruggendo le infrastrutture dello Stato Siriano (elettricità, petrolio, gas, forniture d’acqua, piloni di alta tensione, ospedali, scuole, edifici pubblici, siti culturali storici e perfino santuari religiosi). Il paese è sommerso da cecchini, bombaroli, agitatori, banditi. Usano l’aggressione e le regole della Sharia e rubano la libertà e la dignità della popolazione siriana.

Torturano e uccidono chi rifiuta di unirsi a loro. Hanno strane credenze religiose che li fanno sentire a proprio agio nel perpetrare azioni crudeli. E’ documentato che molti di tali terroristi sono sotto l’effetto di stimolanti come il Captagon. La mancanza di sicurezza conduce al terribile fenomeno dei rapimenti, a scopo di estorsione o pressione politica. Migliaia di innocenti sono spariti, fra loro anche due vescovi, Youhanna Ibrahim e Paul Yazigi, molti preti e Imam.

Le sanzioni economiche dell’ONU e dell’UE, così come il severo embargo stanno spingendo la Siria sull’orlo del collasso economico. Sfortunatamente la rete dei media internazionali sta ignorando queste realtà e tende a demonizzare, spesso a mentire, destabilizzando il paese e alimentando violenza e contraddizioni.

Conclusioni

Durante la nostra visita in Siria la nostra delegazione è stata ricevuta con grande gentilezza da ciascuno abbiamo testimoniato che il popolo Siriano ha sofferto profondamente e continua a soffrire. L’intera popolazione di 23 milioni di abitanti sono sotto la continua minaccia di infiltrazioni da parte di terroristi stranieri.. Molti sono ancora inebetiti dagli orrori e dalla repentinità di tutta questa violenza e sono preoccupati che il loro paese sia attaccato e venga diviso da forze esterne , e sono tutti coscienti che forze geopolitiche lavorano per destabilizzare la Siria, per controllarla politicamente, oltre che per il suo petrolio e le sue risorse. Un leader Druso ci ha detto ’se gli occidentali vogliono il nostro petrolio – sia il Libano che la Siria hanno riserve – lasciateci negoziare, ma non distruggete il nostro paese’.

In Siria è viva la memoria della distruzione dell’Iraq da parte delle forze Usa/Nato, compresi il milione e mezzo di profughi iracheni, molti Cristiani, ai quali è stato dato rifugio in Siria dal Governo Siriano.

La maggiore speranza deriva da Mussalaha, un movimento non politico che attraversa tutti i settori della società Siriana, ha gruppi che lavorano in molte parti della Siria e sta conducendo un dialogo per costruire pace e riconciliazione. Mussalaha media fra gruppi armati e forze di sicurezza, aiuta a dare sollievo a molte persone che sono state rapite, mette insieme le parti in conflitto per trovare soluzioni pratiche. E’ il movimento che ci ha ospitato, sotto la guida di Madre Agnes Mariam, Superiora del monastero di San Giacomo, sostenuta dal Patriarca Gregorio III Laham, capo della gerarchia cattolica della Siria.

Questo grande movimento della comunità civile, costruendo dal basso un processo di pace e Riconciliazione Nazionale, se gli verrà dato spazio, tempo e non-interferenza dall’esterno, potrà aiutare a portare la pace in Siria. Riconoscono che ci deve essere una soluzione politica inclusiva di tutto e non condizionata, sia pure con compromessi, e hanno fiducia che ciò stia avvenendo a molti livelli della società e che sial’unica via per una pace Siriana.

Sostengo questo processo di riconciliazione nazionale che, com credono molit siriani , è l'unico modo di portare la pace in Siria e nell’intero Medio Oriente. Io stesso sono impegnata in questo processo pacifico e spero che la Comunità Internazionale e i leader religiosi e politici, nonché ogni persona di buona volontà aiuteranno la Siria a superare la violenza e pregiudizio e di ancorarla in una nuova era di pace sociale e prosperità. Questa culla della civiltà, di cui la Siria occupa il cuore è un enorme patrimonio spirituale per l'umanità. Sforziamoci di stabilire una zona di “non guerra” e proclamarla un'oasi di pace per la famiglia umana.

lunedì 10 giugno 2013

Appello alle Autorità a non partecipare all’inaugurazione della base USA Dal Molin di Vicenza


Come atto di rispetto alla città chiediamo a tutte le autorità locali di non partecipare all’eventuale inaugurazione della nuova base Usa al Dal Molin



E' questa la richiesta che gruppi, associazioni e comitati vicentini rivolgono alle autorità locali attraverso una raccolta firme che durerà fino a fine giugno.

Clicca qui per firmare.

Scarica il modulo e raccogli le firme tra vicini, amici e parenti. Riconsegna il modulo compilato al banchetto che sarà presente a FestAmbiente

L’inaugurazione della nuova base USA Dal Molin è un atto che gli statunitensi vogliono riproporre come gesto di legittimazione; intenzione che il 4 maggio scorso gran parte della comunità vicentina ha dimostrato di voler contrastare.

L’opposizione dei vicentini ha già impedito la consegna agli Usa dell’intera area Dal Molin ottenendo la smilitarizzazione di un’area di 650.000 mq che è stata destinata a Parco della Pace ed ha contribuito al congelamento dell’ampliamento di Site Pluto.

Questa cerimonia non cancellerà di sicuro la volontà dei vicentini di continuare la mobilitazione anche perché la base militare che si vuole inaugurare a Vicenza:
  1. E’ in contrasto con l’art. 11 della Costituzione perché è finalizzata ad operazioni di guerra preventiva e pertanto NON “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
  2. E’ in contrasto con l’Accordo Bilaterale Italia Usa (BIA) del 1954 nel quale all’art. 2 “Il Governo degli Stati Uniti si impegna ad utilizzare le installazioni concordate esclusivamente al fine di eseguire incarichi NATO”, mentre “gli Stati Uniti hanno tradizionalmente interpretato in modo molto estensivo queste disposizioni anche per operazioni non NATO come in Iraq o nelle missioni umanitarie in Africa”.
  3. E’ stata realizzata impedendo la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) perché questa ne avrebbe compromesso la sua realizzazione giustificandola come “un riuso, con qualche espansione, della sola area ad ovest” mentre in realtà sono stati demoliti oltre l’85% degli edifici preesistenti edificando sino a 800.000 metri cubi totali.
  4. E’ stata costruita solo a poco più di un km dalla Basilica Palladiana contro la Convenzione Unesco che impone agli stati firmatari “il dovere di assicurare la protezione e la conservazione del patrimonio culturale e naturale situato nel proprio territorio”.
  5. E’ stata giustificata come “ampliamento della Caserma Ederle” che si trova a oltre 6 km di distanza.
  6. Non rispetta nemmeno la condizione autorizzativa originaria che subordinava la sua realizzazione “a condizione che fosse prevista la collocazione dell’accesso all’area dell’insediamento nella parte nord dell’insediamento stesso”, mentre per ora avrà un unico accesso dalla trafficatissima viabilità cittadina anche per i convogli militari ed è priva anche delle due uscite d’emergenza prescritte dall’atto di concessione.
  7. Non rispetta le prescrizioni VINCA (Valutazione di Incidenza Ambientale), ad esempio per quanto riguarda gli impianti di depurazione e degli scarichi delle acque nel Bacchiglione.
  8. Ha distrutto i drenaggi dell’area di oltre 650.000 m.q. ad est della base trasformandolo in un acquitrino paludoso mettendone a rischio la sua utilizzazione a Parco della Pace.
Riteniamo che la eventuale presenza di Autorità italiane all’inaugurazione della nuova base USA Dal Molin rappresenterebbe un’ulteriore ferita ad una città già troppo pesantemente oltraggiata.

Come atto di rispetto alla città chiediamo a tutte le Autorità (politiche, amministrative, morali, religiose, culturali, ambientaliste, educative, ecc.) e ai cittadini di non partecipare alla eventuale inaugurazione della base USA Dal Molin e, come richiesto concordemente da tutta la città, di conservare il nome originario “Dal Molin”.

Rinnoviamo il nostro fermo impegno per ottenere

  • la desecretazion degli accordi bilaterali Italia USA del 1954
  • la progressiva smilitarizzazione dei territori in Italia, dal Dal Molin di Vicenza al MUOS di Niscemi, e la loro riconversione ad usi civili;
  • la riduzione di spese militari come ad es. per gli inutili F35 destinando tali risorse a fini civili.
La petizione sulla quale Beati i costruttori di pace - Coordinamento dei Comitati - Cristiani per la pace- Gruppo Emergency Vicenza - Gruppo donne del Presidio No Dal Molin - Femminile Plurale - Forum per la Pace Monticello Conte Otto – Pax Christi Vicenza - Presidio No Dal Molin - Sinistra Ecologia e Libertà - Vicenza Libera No Dal Molin hanno lanciato una raccolta firme ricorda che, grazie alla mobilitazione della comunità locale, Vicenza ha ottenuto la smilitarizzazione di un’area di 650.000 destinata a Parco della Pace e invita i cittadini a continuare questo percorso.

Clicca qui per firmare.

sabato 1 giugno 2013

La Repubblica Siamo Noi


Perché e come ricordare il 2 giugno?

 
Per noi, è la Festa della Repubblica e l'avvio dell'Assemblea Costituente.

Soltanto nel 1946 le donne avevano potuto partecipare al voto per la prima volta e anche con il loro contributo l'esito del referendum del 2 giugno era stato a favore della Repubblica.

Alle spalle c'era stato il 25 aprile 1945, la Liberazione, e l'uscita dalla Guerra.

Le donne avevano partecipato alla Resistenza, e il voto ne riconosceva finalmente la piena cittadinanza. C'era entusiasmo per una prospettiva di pace, di democrazia, di diritti sociali, di uguaglianza, pur nelle difficoltà della ricostruzione.


Da troppi anni, invece, per le istituzioni, il 2 giugno è diventato il giorno dell'esibizione e dell'esaltazione delle Forze Armate, facendo prevalere una immagine militarista di questa Repubblica, che era nata dall'impegno di tante donne e tanti uomini perché alle guerre, massacri e distruzioni venisse detto “Mai più”.

 
Il carattere militarista non è purtroppo soltanto simbolico, come nelle celebrazioni, ma è una realtà concreta molto presente sul nostro territorio:
  • In Italia ci sono 111 basi militari USA e NATO.
  • In Italia ci sono 70 testate nucleari, nelle basi USA di Aviano e Ghedi.
  • In Italia ci sono 30.000 militari USA.
  • In Italia la spesa militare è di 70 milioni di euro al giorno.
  • L'Italia partecipa a 24 operazioni militari in 18 paesi del mondo.
Sul territorio però è diffusa anche la volontà di resistenza: a Niscemi, in Sicilia, l'intero paese rifiuta l'installazione del MUOS, un sistema di comunicazioni satellitari ad altissima frequenza gestito dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Il MUOS dovrebbe integrare forze navali, aeree e terrestri in movimento in qualsiasi parte del mondo. Le antenne, installate a terra, comporterebbero emissioni elettromagnetiche fortissime e molto pericolose per la popolazione.

Un altro caso è quello dei movimenti contro l'acquisto dei cacciabombardieri F 35, aerei previsti anche per trasportare ordigni nucleari e così costosi che molti paesi – ma non l'Italia – hanno rinunciato al loro acquisto. Per di più i costi continuano a crescere così come crescono le inadeguatezze tecniche di cui si stanno rendendo conto gli stessi Stati Uniti.
 
 
Potremmo continuare l'elenco; in molte e molti vogliamo un paese che sappia affrontare i conflitti, interni e internazionali, senza ricorrere all’uso della forza; un paese che investa non nelle armi e nella guerra, ma nella cultura, la scuola, la salute, l’occupazione.
 
Il 2 giugno è la nostra festa,
la festa delle donne e degli uomini che si riconoscono nella Costituzione,
che sancisce i diritti di tutte e di tutti, il diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute…,
e il ripudio della guerra.

Ribadiamo la pace come bene comune e valore fondante e fondamentale della Repubblica

Fuori la Guerra dalla Storia