domenica 26 gennaio 2014

Diamo voce alle donne che lottano senz’armi nelle guerre per la pace, la giustizia, i diritti




Tenendo la tua mano
e sapendo che tu mi hai dato una nuova forza…
con questa forza e questa solidarietà
sono stata presa da questa follia
di CAMBIARE IL MONDO





Malalai Joya e le donne di RAWA (Associazione donne afghane rivoluzionarie)   

Malalai Joya, ex parlamentare afghana, è stata estromessa dal parlamento per aver denunciato la presenza di signori della guerra. Dal 2003 viaggia in tutto il mondo per dare voce alle donne che ogni giorno vengono uccise in Afghanistan. Vive sotto scorta e cambia luogo di residenza di continuo. Ma Joya non vuole lasciare Kabul e denuncia :  
“Ci dobbiamo guardare da tre nemici: dai talebani, dagli eserciti che occupano il nostro Paese e dal governo corrotto, dove continuano a comandare i signori della guerra”.

Nel sito dell’Associazione si legge: 


Finché esistono fondamentalisti con forza militare e politica nella nostra terra sfortunata, il problema dell'Afghanistan non sarà risolto. Oggi la missione di RAWA per i diritti delle donne è tutt'altro che finita e dobbiamo lavorare sodo per la costruzione di un Afghanistan indipendente, libero, democratico e laico. Abbiamo bisogno di solidarietà e sostegno da tutte le persone del mondo.


Manal al-Tamimi e le donne palestinesi dei Comitati popolari di resistenza nonviolenta

Manal Al Tamimi è una giovane donna, membro del comitato di resistenza nonviolenta di Nabi Saleh, uno dei villaggi Palestinesi in cui da oltre tre anni ogni venerdì si protesta pacificamente contro l'occupazione israeliana. 
Una comunità di appena 600 anime, a ridosso della quale è stato costruito un insediamento illegale. I coloni spesso attaccano i palestinesi, distruggendo i loro campi o danneggiando le loro case. L’esercito israeliano fa il resto. Ogni venerdì è sempre più difficile contenere la violenza militare.

Lottiamo contro l'occupazione - racconta - e abbiamo scelto di resistere in modo nonviolento. Resistere pacificamente non è per niente facile, significa rispondere in modo nonviolento a tutte le aggressioni e soprusi che subiamo quotidianamente, soprattutto l'esproprio illegale delle nostre terre e la distruzione o il furto delle nostre risorse, le aggressioni ai bambini, il razionamento e inquinamento dell’acqua… Tutti noi siamo stati feriti almeno una volta. È estremamente complicato rispondere con la nonviolenza a tutta la violenza che ci si riversa addosso. Ma siamo e saremo più forti delle loro armi". 


Le donne in nero di Belgrado


dall’inizio della guerra jugoslava non hanno smesso di protestare - nonostante insulti e aggressioni - contro la politica militarista del loro governo. Dalla fine della guerra si recano ogni anno a Srebrenica a “chiedere perdono” per quello che le milizie serbe hanno compiuto.  Continuano ad affermare 
“ una resistenza pubblica, chiara, forte e non-violenta al regime che ha condotto aggressioni e guerre nel nostro nome, e a coloro che dopo le guerre hanno negato, minimizzato, relativizzato o glorificato i crimini commessi in nostro nome. Non smetteremo mai di disturbare le autorità e il pubblico, proponendo il problema della responsabilità per le atrocità commesse nel passato. Non acconsentiremo mai a tacere nel nome di una ‘collaborazione di scopo’ con lo stato, o nel nome del ‘processo d’integrazione’. Non rinunceremo al nostro spirito critico verso tutte le autorità, soprattutto verso le autorità dello stato in cui viviamo, e poi verso tutti gli altri.”
E stanno lavorando per un “tribunale delle donne”, che si occupi delle violenze di natura etnica, militarista, economica… commesse durante la guerra e nel dopoguerra; per denunciare le responsabilità istituzionali.

Le Colombiane della “Ruta Pacifica de las mujeres”

per molti anni noi donne colombiane siamo scese in strada per esigere il dialogo che ponga fine al conflitto armato, abbiamo marciato per la vita, abbiamo denunciato le violazioni dei diritti umani, abbiamo protestato contro la guerra e a favore della pace; ora abbiamo deciso di scendere in strada per dire SI al processo di dialogo tra il governo e la "insurgencia" per porre fine al conflitto armato e camminare verso la pace con giustizia sociale. Porremo termine alla guerra! Costruiamo la pace!”
Ora hanno costituito una “Commissione Verità e Memoria” che ha lavorato 3 anni per raccogliere le testimonianze delle vittime e delle sopravvissute, nella lunga guerra che ha insanguinato la Colombia da più di 40 anni. Hanno presentato il lavoro fatto nel Dossier “La Verità delle donne vittime del conflitto armato in Colombia”. Questo dossier rende conto delle violazioni dei diritti umani commesse contro le donne dai diversi attori armati, e cerca di incidere sull’attuale processo di pace riscattando la presenza delle donne come soggetti politici che raccontano la verità a partire dalla propria esperienza.


Il Forum delle Donne Siriane per la Pace


opera sotto l'ombrello di Karama, un'organizzazione fondata nel 2005 e con sede al Cairo, dove si sta creando un movimento regionale che lotta per i diritti delle donne e  contro la violenza. Il forum unisce più di 40 gruppi all'interno della Siria, di diversi contesti politici, sociali, etnici. Ha presentato ai partecipanti ai colloqui di Ginevra - nei giorni scorsi - una proposta in sette punti per un processo di costruzione della pace in Siria. Dicono le donne del Forum:
“Come madri, amanti della pace, e donne siriane che vogliono la fine della guerra, firmiamo con le lacrime agli occhi per fermare questa orribile violenza contro persone innocenti all'interno della Siria.
Ogni giorno sono innocenti uccisi e stanno soffrendo. i nostri figli ci chiederanno cosa abbiamo fatto per cercare di fermare lo spargimento di sangue. 
Tutte e tutti abbiamo una parte di responsabilità. Per favore, fermare la violenza contro le madri e bambini che non meritano di vivere in questo modo e non meritano una morte insensata. Non ci sono scuse per la nostra inazione
Basta sofferenza, basta paura. Siamo tutt necessari per costruire uno stato democratico e laico con istituzioni eque e per raggiungere questo obiettivo attraverso mezzi pacifici insieme al tavolo dei negoziati. Possiamo sperare nella pace per Siria e la pace per tutti.


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